Npensieri banner
Naviga il sito in modo innovativo chattando con i contenuti! Fai domande e ottieni le risposte.
Chatta con Nabla

Il dualismo bene-male e la dicotomia dell'Essere

Tutte le filosofie e le religioni che tentano “di sollevare lo sguardo verso l’alto per osare di raggiungere la verità dell’essere” (Giovanni Paolo II) possono essere suddivise in tre grandi correnti: monismo, pluralismo e dualismo.

bene e male

Cos'è l'essere ?

Prima di analizzare questi tre termini filosofici, bisogna cercare di definire la parola Essere. In estrema sintesi, l’Essere è il fondamento primo del mondo. L'essere è un concetto centrale nella filosofia, che riguarda la natura dell'esistenza e ciò che significa "essere" o "esistere". In termini semplici, l'essere si riferisce a tutto ciò che è reale o esiste in qualche modo. Il campo della filosofia che si occupa dell'essere e dell'esistenza è chiamato ontologia.

È interessante notare che, in filosofia, l'Essere non è solo inteso come un'azione (il verbo "essere"), ma anche come un'entità o una condizione (l'Essere come "ciò che esiste" o "la realtà di X"). Inoltre, mentre la filosofia si occupa dell'identità e della predicazione, queste tematiche sono centrali anche nella logica.

Infine, è cruciale sottolineare la distinzione tra "essere" ed "esistenza" nella letteratura filosofica. Anche se nel linguaggio quotidiano questi termini possono sembrare intercambiabili, in filosofia hanno spesso assunto sfumature e connotazioni diverse.

Il linea generale il verbo essere viene utilizzato in diversi modi:

  • Essere come realtà: L'essere è spesso visto come sinonimo di realtà o ciò che è reale. In altre parole, qualcosa che ha l'essere è qualcosa che esiste realmente nel mondo, indipendentemente dalle nostre percezioni o convinzioni.
  • Essere come identità: L'essere è anche legato all'identità, ovvero ciò che rende qualcosa ciò che è. Ad esempio, l'essere di una sedia è ciò che la rende una sedia e non un tavolo o un'altra cosa. L'identità è quindi un aspetto dell'essere che distingue un'entità da un'altra.
  • Essere come esistenza: Un'altra interpretazione dell'essere riguarda l'esistenza stessa, o il fatto di essere presenti nel mondo. Questa prospettiva si concentra sulle condizioni e sui modi in cui qualcosa esiste, piuttosto che sulla sua identità o realtà.
  • Essere come categoria: Alcuni filosofi vedono l'essere come una categoria che comprende tutte le cose esistenti, indipendentemente dalla loro natura, proprietà o relazioni. In questo senso, l'essere può essere inteso come un concetto generale o astratto che abbraccia tutte le forme di esistenza.

L'essere in filosofia si riferisce alla natura dell'esistenza e a ciò che significa "essere" o "esistere". L'ontologia, il campo della filosofia che si occupa dell'essere, esamina le domande relative alla realtà, all'identità, all'esistenza e alle categorie dell'essere.

L'essere è spesso discusso in relazione  domande fondamentali quali:

Che cos'è l'essere?
Quali cose esistono ?

Che legame c'è tra Essere ed esistere ?

La filosofia occidentale ha una lunga storia di riflessione sull'essere, a partire dai filosofi greci antichi come Parmenide e Platone fino ai pensatori moderni e contemporanei. Le diverse scuole di pensiero e filosofi hanno offerto diverse interpretazioni e teorie sull'essere e sull'esistenza.

In pillole questa è la storia delle principali concezioni dell'Essere:

  1. Parmenide: Per lui, l'essere è eterno, immutabile, indivisibile e unico. Famosi sono i frammenti di Parmenide che affermano: "l'essere è e non è possibile che non sia", "il non non è, ed è necessario che non sia". L'essere è unico e non può nascere né morire. Parmenide arriva a concludere che il divenire è un'illusione, perché nulla può passare dall'Essere al non Essere e viceversa. Questa visione contrasta con l'esperienza sensoriale quotidiana, ma Parmenide sosteneva che solo la ragione può portare alla verità.
  2. Eraclito: Eraclito è noto per la sua affermazione che "tutto scorre". Per lui, la realtà è in costante cambiamento e trasformazione. L'essere non è statico, ma dinamico. Alla base dell'essere di Eraclito c'è l' Enantiodromia che significa letteralmente corsa nell'opposto. Con questo concetto è indicato il gioco degli opposti nel divenire, cioè la concezione secondo la quale tutto ciò che esiste passa nel suo opposto.
  3. Filosofi pluralisti: Filosofi come Empedocle e Anassagora cercavano di mediare tra l'idea di un essere immutabile e la realtà in costante cambiamento. Proponevano che ci fossero molteplici principi o sostanze che costituivano la realtà.
  4. Democrito: Introdusse l'atomismo, sostenendo che tutto è composto da piccole particelle indivisibili chiamate atomi. Questi atomi si muovono nel vuoto e si combinano in vari modi per formare la realtà.
  5. Platone: Per Platone, la realtà vera e autentica risiede nel mondo delle idee o forme, che sono eterni e immutabili. Il mondo sensibile è solo una copia imperfetta di questo mondo delle idee.
  6. Aristotele: Aristotele vedeva l'essere in termini di sostanza (ciò che esiste di per sé), atto (la realizzazione di un potenziale) e potenza (la capacità di cambiare o diventare). La sua visione era più immanente e legata al mondo fisico rispetto a Platone.
  7. Plotino: Fondatore del neoplatonismo, vedeva l'Uno come la realtà fondamentale e sorgente di tutto l'essere. Da questo Uno emanano altre realtà, come la Nous (Mente) e l'Anima del mondo.
  8. Cristianesimo: Nel cristianesimo, Dio è l'essere supremo, l'inizio e la fine di tutto. La natura di Dio è al centro della teologia cristiana, e l'essere di Dio è visto come eterno e immutabile.
  9. Hegel: Per Hegel, l'essere si sviluppa attraverso un processo dialettico, dove una tesi si scontra con la sua antitesi, portando a una sintesi. Questo processo continua, guidando l'evoluzione della realtà che è puramente razionale.  "Tutto ciò che è razionale è reale, tutto ciò che è reale è razionale", con questa frase Hegel vuole affermare che esiste una ragione che si manifesta nella realtà ed è la filosofia a dover cogliere tale razionalità.
  10. Heidegger: Heidegger ha cercato di rivisitare il concetto di essere, distinguendo tra "essere" (l'essenza o la natura delle cose) ed "ente" (gli oggetti o le entità che esistono). Ha sottolineato l'importanza di riflettere sull'essere stesso, piuttosto che solo sugli enti. In "Essere e tempo" Heidegger ha introdotto il legame tra l'essere e la temporalità. Il tempo è la dimensione fondamentale dell'essere dell'esserci (termine con cui Heidegger si riferisce all'uomo). La temporalità è la struttura ontologica che rende possibile l'esistenza.

 

 

 

Il Pluralismo

Secondo il pluralismo, l’Essere è costituito da una pluralità di elementi che lo fondano in quanto sostanze dotate di esistenza autonoma. In un sistema pluralista, sono presenti molteplici entità che determinano la struttura e le caratteristiche del Tutto. Queste entità hanno un’esistenza separata ed indipendente le une dalle altre. Tali concezioni sono le più antiche. Ad esempio, le religioni politeiste, in cui le forze della natura e quelle del pensiero venivano rappresentate da divinità, sono pluraliste.

Il Dualismo

Il dualismo è un tipo particolare di pluralismo che considera dotati di esistenza due soli principi. In un sistema dualistico sussistono coppie di opposti che derivano da due piani
(ontologicamente) separati e tutto è riconducibile a due soli generi di sostanze. Il dualismo si basa sul concetto di dicotomia. La dicotomia è la divisione di un’entità in due parti mutuamente esclusive, cioè tali da non poter essere vere contemporaneamente, e completamente esaustive, senza cioè lasciare spazio per una terza parte.

A titolo esemplificativo, se preso un concetto A è possibile dividerlo in due parti B e non-B, allora le due parti formano una dicotomia, dato che nessuna parte di B è contenuta in non-B e che la somma di B e non-B fa esattamente A. Esempi di dualismi dicotomici sono: bene/male, anima/corpo, il Sé/gli altri, oggetto/soggetto, luce/tenebre.

Il dualismo bene male

La dicotomia più marcata delle concezioni dualiste è quella bene/male. Le principali filosofie dualistiche tendono ad identificare l’Essere con due entità universali, da cui derivano
due forze dicotomiche che danno vita alla coppia di principi dualistici bene/male. Ad esempio, alcune religioni dualistiche credono nell’esistenza di un dio malvagio creatore del mondo materiale e di un dio spirituale, da cui discende il solo bene.

Altre correnti fanno derivare dal pensiero il bene, dalla materia il male. In poche parole, esiste un principio che determina il male ed un altro principio che rende possibile il bene. Per i dualisti più moderati, i due principi sono diversi, ma compresenti nel mondo. I monisti invece dichiarano che la dualità è solo un’illusione.

Il monismo

Il termine monismo (o non-dualismo) si riferisce ad una concezione unitaria dell’Essere: esiste un unico principio sostanziale da cui tutto deriva. Il monismo esprime il concetto filosofico della sostanziale unità dell’Essere. Le concezioni monistiche non negano la molteplicità, ma la considerano una manifestazione “non sostanziale” di un unico principio. In occidente, il primo ad introdurre il monismo è stato Parmenide ben 2500 anni fa:

“Orbene io ti dirò e tu ascolta attentamente le mie parole, quali vie di ricerca sono le sole pensabili; l’una che è e che non è possibile che non sia, è il sentiero della persuasione, che a verità s’accompagna; l’altra che non è, e che non è possibile che non sia, questa io ti dichiaro che è un sentiero non percorribile: perché il non essere né lo puoi pensare (non è infatti possibile), né lo puoi esprimere, infatti il pensare implica l’esistere.” (Parmenide, Sulla Natura).
Parmenide busto

Busto di Parmenide

 

Nella filosofia di Parmenide, l’Essere è pensiero, ed è, pertanto, un monismo fortemente idealista.
Il monismo assume diverse forme, che possono essere ricondotte alle seguenti correnti filosofiche:

1. Il Materialismo, secondo cui solo ciò che è fisico è reale. Ogni cosa proviene quindi dal principio della materia e l’universo si esaurisce in quest’unico principio. In questo caso, il Tutto è costituito unicamente dall’universo fisico e non esiste alcun mondo immateriale o spirituale.
I materialisti affermano che l’apparente unità e indipendenza della mente è illusoria. La mente e le sue “funzioni” derivano da processi fisici.

2. L’Idealismo o mentalismo, secondo cui solo l’aspetto mentale è reale; questa è esattamente il contrario della posizione precedente. Il fisico è solo una proiezione della realtà mentale.

3. Il Monismo neutrale, dove entrambi gli aspetti fisico e mentale si possono ridurre a una sostanza o forma di energia (“Spirito”, “Brahman”, “Dio”, “Quello”, “L’uno”,“Il Sé”, “L’Assoluto”) che è al tempo stesso l’origine e il sostrato del Tutto. È importante capire che l’entità unica non è una seconda o terza sostanza, ma costituisce il principio base di tutti i fenomeni presenti nell’universo fisico e metafisico. L’aspetto mentale e corporeo sono delle manifestazione di questa unità che tutto comprende.

In sintesi, un materialista che crede alle sole leggi fisiche è monista, perché basa il Tutto su un unico principio, quello della materia. Le stesse religioni monoteistiche, che non concepiscono l’esistenza di un dio del male, sono moniste.

La tradizionali forme religiose orientali monistiche credono nell’uno come principio supremo che contiene, ed è anche Dio, mondo, spirito, materia vivente e non vivente. In sostanza, nelle varie correnti monistiche può variare il principio supremo, ma ogni cosa discende da un’unica entità. Così anche bene e male non scaturiscono da due essenze eterogenee, ma l’origine è comune e la differenza tra i due è solo di grado e nella manifestazione sul nostro piano di realtà. Ciò che a noi appaiono come bene e male non sono altro che manifestazioni di un’unica realtà, due facce della stessa medaglia. Nel monismo di tipo teologico-religioso, Dio è impersonale e si identifica con il Tutto. In realtà, non c’è proprio distinzione tra io, te, l’uomo, l’animale, la pianta, Dio, l’universo: esiste solo un grande oceano che non può essere smembrato in tanti pezzettini. Ne consegue che non si può identificare una sorgente di solo bene e una sorgente di solo male.

Sconfitta - William Blake

Sconfitta | William Blake - L'archetipo del Creatore è un'immagine ricorrente nel suo lavoro. Qui Blake dipinge il demiurgo Urizen raccolto in preghiera mentre contempla il mondo che ha creato.

Il monismo è al di là del linguaggio

Per il monista la molteplicità non esiste. A noi sembra molteplicità solo perché abbiamo una visione limitata: se riuscissimo a cogliere l’unità dell’Essere, vedremmo soltanto un’infinità indifferenziata in cui non vi sono distinzioni. La comprensione della realtà, per il monista autentico, non è né scientifica né prettamente mentale, ma piuttosto consiste in un ineffabile ed indescrivibile stato di realizzazione superiore. Infatti, non è possibile esperire e descrivere la non-dualità in maniera oggettiva (perché sarebbe in sé un atto dualistico di relazione soggetto-oggetto o osservatore-osservato); è possibile però cercare uno stato soggettivo di consapevolezza non-dualistica, mediante percorsi filosofici, religiosi e mistici come ad esempio lo yoga, la meditazione e la teologia mistica cristiana.

I sistemi religiosi più evoluti si dichiarano monisti. Ricordiamo però che non è possibile uscire dal dualismo attraverso il linguaggio. Nonostante ciò, una parte della teologia cristiana medievale e alcuni sutra buddhisti tentano di superare la logica degli opposti attraverso la congiunzione di un’affermazione con la sua negazione. In altre parole, viene utilizzata la scrittura per dare l’illusione di superare il dualismo. In verità, questo è solo uno stratagemma linguistico che però non ha un reale valore semantico.
Il tentativo è intrinsecamente fallace perché il linguaggio si basa sulla relazione dualistica soggetto/oggetto e sulla dicotomia affermazione/negazione.

Riassumendo, possiamo dire che, anche se il dualismo potesse essere superato attraverso un’esperienza mistica o spirituale, la scrittura ed il linguaggio non saranno mai in grado di descrivere uno stato non-duale: “Quanto più alziamo lo sguardo verso l’alto, tanto più i discorsi vengono contratti dalla contemplazione delle realtà intellegibili; così pure anche ora, nel momento in cui penetriamo nella tenebra superiore all’intelligenza, noi troviamo non più discorsi brevi, ma la totale assenza di parole e di pensieri.” (Dionigi Areopagita).
Il dualismo
La teologia positiva arriva a Dio tramite un progressivo accrescimento di tutte le qualità finite degli oggetti. Quella negativa procede per decrescita e diminuzione fino ad eliminare ogni contenuto dalla mente, poiché Dio, essendo superiore a tutte le realtà possibili ed immaginabili, non è identificabile con nessuna di esse.

La teologia negativa giunge alla conoscenza, non attraverso la scoperta del vero, ma mediante lo svelamento del falso. La verità non può essere colta in modo positivo, perché anche il soggetto conoscente non può oggettivare completamente l’oggetto conosciuto. Dunque non si può trovare la verità, ma solo indicare il “non vero”. L’unica unione possibile tra la teologia negativa ed affermativa è il silenzio mistico.

La teologia mistica propone il superamento del dualismo abbattendo sia la teologia affermativa che quella negativa, le quali devono cedere il passo all’assoluto silenzio, quale eco dell’impenetrabilità dei misteri di Dio.

Dal punto di vista pragmatico i monisti ricadono spesso nel dualismo

Alcune contrapposizioni dualistiche che vengono utilizzate da correnti che si dichiarano non-duali sono: compassione estrema/intransigenza, bene/male, pace assoluta/guerra, illuminato/ignorante, libero/schiavo, anima/corpo, carne/non carne.

Senza entrare nei dettagli, questo tipo di concetti dicotomici sono alla base di molte filosofie orientali. Ad esempio, il concetto di buddhittà si contrappone in modo dicotomico a quello di ignoranza. Il Buddha è perfettamente illuminato e non viene sporcato da alcuna macchia di ignoranza. L’uomo normale, invece, è prigioniero della sua ignoranza e non ha alcuna traccia di luce nella sua essenza. La via tracciata da

Buddha è l’unica che conduce alla liberazione finale. Ma già il concetto di liberazione finale presuppone uno stato di prigionia che esclude qualsiasi libertà. Contrariamente a ciò, il monista non dovrebbe vedere una distinzione netta tra uno stato di liberazione spirituale e la prigionia nel mondo dei sensi. Gli uomini potrebbero sì avere gradi di conoscenza differenti, ma non “stati” mutuamente esclusivi. Questo per dire che alcune correnti del Buddhismo, seppur affermano di essere non-duali, in realtà sono dualiste quando definiscono le regole dottrinali ei precetti morali a cui fedeli e monaci si devono attenere.

Si potrebbe obbiettare che sebbene il buddismo presenta alcune distinzioni dicotomiche, come conoscenza/ignoranza, sofferenza/liberazione e illuminato/uomo comune, queste distinzioni servono principalmente come strumenti pedagogici e pratici per aiutare i fedeli a comprendere e navigare il loro percorso spirituale, piuttosto che come affermazioni ontologiche rigide sulla natura della realtà.

Le distinzioni dicotomiche nel buddismo possono essere intese come punti di riferimento lungo il Sentiero Nobile Ottuplice, che è il percorso che conduce alla liberazione dalla sofferenza e all'illuminazione. Queste distinzioni aiutano a identificare e a superare gli ostacoli al progresso spirituale, come l'attaccamento, l'ignoranza e le abitudini negative.

Alcune forme di buddismo sostengono il principio di interdipendenza e l'idea che tutti i fenomeni sono condizionati e impermanenti. In questo contesto, le distinzioni dicotomiche non sono intese come descrizioni assolute e definitive della realtà, ma piuttosto come mezzi per guidare i praticanti verso una comprensione più profonda della verità ultima e della liberazione dalla sofferenza.

Questa, a mio avviso, non è un'obbiezione sensata e coerente. Se il fondamento teoretico e la pratica non si rispecchiano l'uno nell'altra significa che siamo di fronte a dei sofismi che hanno come unico scopo quello di convincere più persone possibili a seguire una determinata credenza. Se togliamo le fondamenta teoretiche al buddhismo resterebbero solo una serie numerosissima di precetti e regole e il buddismo perderebbe tutto quell'interesse che è stato capace di suscitare nel corso dei millenni.

La "pratica" che viene costruita su una filosofia o una religione ha come fondamento le basi teoretiche. Eliminare la coerenza strutturale dei due mondi o separarli significa costruire un palazzo che ha le fondamenta cedevoli e che non sono in grado di assolvere alla loro funzione primaria: quella di sorreggere tutto l'edificio.

 

Anche in occidente, il Cristianesimo ha sempre faticato a porsi come sistema monistico perché se Dio è la causa di tutto, non si spiega il male da dove salta fuori. Nel Vangelo è presente anche Satana e, pertanto, sarebbe stato opportuno accettare un dualismo teistico moderato. Al contrario, per risolvere il problema del male, la colpa è stata gettata completamente sull’uomo, il peccatore.

In sintesi, se la morale di un monista dovesse rispecchiare perfettamente le basi teoretiche della dottrina, un monista non dovrebbe dividere il mondo concetti dicotomici da cui seguono precetti che catalogano alcune cose come assolutamente buone e altre come assolutamente cattive. Egli dovrebbe essere equanime e capace di guardare al mondo in tutte le sue sfumature graduali, senza cadere nella trappola degli estremi dicotomici.

Prendiamo - ad esempio - in considerazione il pacifismo estremo ed il vegetarianismo, ideologie tipiche di alcune culture orientali. La compassione ed il pacifismo, portati all’estremo, sono concetti limite che escludono la possibilità di combattere, indipendentemente dalle condizioni che causano il conflitto: la pace esclude in modo dicotomico la guerra, siamo nel dualismo. Un monista non suddivide le azioni in due gruppi chiamati rispettivamente “azioni intrinsecamente buone” e “azioni intrinsecamente malvagie” dato che:

“Le tenebre sono soltanto una minor luce, il male è solo un minor bene, l’impurità era maggiore purezza.”

Questo è un classico concetto monista, in cui viene espressa una differenza di grado, ma non di sostanzialità. Quindi il monista vero non può escludere come male assoluto nessuna cosa. Non può considerare nessuna cosa come bene assoluto, altrimenti ricade nel dualismo. In poche parole, dovrebbe essere equanime.

 

Conclusioni

Finora abbiamo parlato della contrapposizione dualismo/monismo. Vorrei concludere il pensiero con una piccola
considerazione sui punti di forza e sulle debolezze di entrambe le correnti filosofiche. Ritengo che i punti di vista che tendono ad un "giusto mezzo" siano quelli che propongono un dualismo moderato per quanto riguarda i concetti corpo-spirito, naturale-divino, bene-male.

In un monismo stretto, tutto sarebbe giusto ed equipollente: non si potrebbe neanche parlare di bene e male, di positivo e negativo, di flusso degli opposti, di bilanciamento ed equilibrio. Lo stesso linguaggio verrebbe meno, perché, se pur qualcuno tenta di ignorarlo, il linguaggio ha le sua fondamenta nella contrapposizione negazione-affermazione e nel dualismo soggetto-oggetto. In poche parole, si tenderebbe a cadere in un bieco indifferentismo che non lascerebbe spazio alla discriminazione. Sulla sponda opposta, in un dualismo esasperato non esistono più le sfumature, i compromessi, l’unità nella diversità. Soprattutto, il processo di sintesi dialettica, che permette il “movimento” della vita e dell’universo, verrebbe a crollare di fronte ad una intransigenza ideologica che contrapporrebbe spietatamente e, senza possibilità di mediazione, un principio ad un altro.

Vedi anche: Dialettica

linkedin facebook pinterest youtube rss twitter instagram facebook-blank rss-blank linkedin-blank pinterest youtube twitter instagram