Scienza e filosofia
Avevamo terminato il post metodo scientifico senza riempire il vuoto lasciato dalle lacune del metodo induttivo. La riflessione epistemologica sulle scienze della natura ed in particolare sulla fisica ha acquistato grande vigore dopo l’affermazione della teoria della relatività di Albert Einstein, che ha conferito un nuovo approccio metodologico alla fisica teorica ed alla filosofia della scienza.
Foto di Albert Einstein
Ancora una volta la mossa vincente di Einstein è stato il procedimento euristico adottato e le sue grandi intuizioni. La teoria della Relatività di Einstein non salta fuori da un cilindro magico o da una mente soprannaturale, ma è la sintesi e l’arricchimento di conoscenze che circolavano tra gli scienziati dell’epoca. Per fare un esempio, le trasformazioni delle cordinate spaziali e temporali, erano già state scoperte da Hendrik Lorentz (1853-1928) da cui hanno preso il nome (trasformazioni di Lorentz–FitzGerald)
Da queste formule si ricavano le famose leggi di contrazione delle lunghezze e dilatazione dei tempi degli oggetti in movimento. Il problema è che Lorentz non aveva dato una spiegazione plausibile, che si accordasse con la fisica dei tempi e quelle formule sembravano avere poco senso, oltre ad essere fortemente controintuitive. Albert Einstein invece si chiede (come aveva fatto Galileo Galilei) come può verificare queste leggi fisiche tramite procedure sperimentali . Come faccio a misurare la lunghezza di un corpo che si muove a velocità prossime a quelle della luce rispetto all’osservatore?
Per Lorentz, l’effetto non sarebbe stato verificabile perché, lo strumento di misura, che si muove insieme all’oggetto avrebbe subito la stessa contrazione dell’oggetto e quindi l’effetto si sarebbe in qualche modo annullato. Se portassimo un metro su una navicella spaziale che si muove a velocità vicine a quella della luce, il metro subirebbe la stessa contrazione dell’oggetto.
Invece Einstein pensa ad una misura oggettiva ottenuta inviando un segnale elettromagnetico da un punto di osservazione fisso contro un oggetto che si muove alla velocità prossime a quelle della luce. Misurando i tempi di andata e ritorno in cui il raggio di luce viene riflessa dalle due estremità dell’oggetto, posso ottenere una misura oggettiva dell’oggetto stesso.
Quindi una possibilità che abbiamo di misurare la lunghezza di un oggetto in movimento è quella di inviare un raggio di luce, attendere il suo ritorno e misurare i tempi. Da questo punto di partenza e da due semplici postulati (anche la scienza ha i suoi dogmi) procedendo in maniera euristica, arriva a formulare la relatività ristretta.
Ma facciamo un passo indietro. Un fondamentale avvenimento per la fisica moderna è la formulazione della teoria generale dell’elettromagnetismo. Protagonisti principali Ampère, Faraday, Hertz e Maxwell. Quest’ultimo, in particolare, scopre il carattere elettromagnetico dei fenomeni luminosi. Detto in maniera semplice, la luce è un campo elettromagnetico. Il problema è che a quei tempi, essendo la fisica intrisa di meccanicismo, si pensava (ed i nostri protagonisti non hanno mai dubitato) che la luce per propagarsi avesse bisogno di una sostanza chiamata etere luminifero.
Il movimento si trasmette solo attraverso la materia, con azioni di forza tra elementi contigui.
L'aria deve essere formata da una sostanza invisibile che permette al movimento di propagarsi.
Ogni corpo in movimento nell'universo produce un vento d'etere che si muove alla stessa velocità del corpo in movimento, ma con direzione opposta.
Cerchiamo di seguire questo semplice ragionamento. Se la terra è circondata la questo misterioso etere, e come sappiamo ruota attorno al sole con velocità v=30 Km/s (a cui corrisponde un vento di etere con la stessa velocità ma direzione opposta), e se dovessimo inviare un raggio di luce nella direzione del moto ed uno perpendicolarmente ad essa, le velocità dei raggi di luce sarebbero differenti. Immaginate di dare un calcio ad un pallone su un treno nella direzione del moto del treno. Per un osservatore esterno il pallone ha la velocità del treno, più la velocità che gli è stata impressa con il calcio. In questo modo se misuriamo la velocità dell’onda in direzione del moto della terra e quella di un raggio che si muove orizzontalmente rispetto ad esso, le due velocità dovrebbero avere una differenza (secondo le equazioni di Maxwell) proporzionale a (v/c)2.
L’esperimento effettuato nel 1881 da Michelson ed in maniera più accurata nel 1887 assieme a Edward Morley, mostrò un effetto contrario alle ipotesi: le due velocità erano le stesse.
Dopo una serie di errate ipotesi, Einstein risolve il problema con l’assunzione di una velocità della luce indipendente dal moto della sorgente e dell'osservatore che è dunque costante per tutti gli osservatori e pari a c= 300000 Km/s (in realtà anche Lorentz aveva formulato questa ipotesi). Inoltre la luce non ha bisogno di materia per propagarsi, ma può viaggiare nel vuoto a velocità costante. Nel caso della luce, la composizione galileiana delle velocità non è applicabile.
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Interferometro di Michelson. Apparecchio in grado di rilevare lo sfasamento ottico tra due fasci di luce che seguono percorsi differenti. |
Abbiamo trovato uno dei postulati da cui parte Einstein per la formulazione della teoria della relatività ristretta. L’altro postulato è che le leggi fisiche sono uguali in tutti i sistemi di riferimento.
Non ci addentreremo nella trattazione della relatività, ma per completare il quadro è bene chiarire il problema posto inizialmente dell’interpretazione delle formule di Lorentz.
La contrazione delle lunghezze significa che un oggetto in quiete ha una lunghezza misurata diversa, rispetto allo stesso oggetto che si muove con velocità v. Gli effetti di questa differenza iniziano però a farsi sentire per velocità prossime a quelle della luce, mentre sono trascurabili a basse velocità.
La dilatazione dei tempi indica che la misura della distanza temporale tra due eventi risulta diversa se viene effettuata da un osservatore in quiete o da uno che si muove a velocità vicine a quella della luce. In poche parole gli orologi che si trovano su un’astronave che si muove a velocità prossime a quella della luce rallentano.
Osserviamo infine, che stando a quanto ha dichiarato lo stesso Einstein il suo punto di partenza non furono gli esperimenti di Michelson ( o quanto meno il fattore predominante che ha guidato le sue idee) ma la sua concezione “filosofica” dello spazio e del tempo. Egli era convinto che lo spazio non fosse assoluto, come aveva postulato Newton ma sempre relativo agli oggetti considerati. Detto in modo semplice lo spazio non è un contenitore che contiene oggetti al suo interno, ma è la disposizione degli oggetti che determina lo spazio. Un risultato che Gottfried Wilhelm von Leibniz aveva anticipato combattendo aspramente la teoria newtoniana dello spazio assoluto.
Dopo questa breve, ma utile digressione storica, torniamo ai problemi epistemologici. Come abbiamo osservato nel precedente post, i filosofi, che di solito portano gli scienziati a riflessioni che permettendo di innovare e migliorare il metodo scientifico, a volte, sono essi stessi condotti dalla scienza.
Lo stesso Einstein è stato influenzato (in modo determinante) nella formulazione della relatività dalla filosofia della scienza di Ernst Mach, mentre Karl Raimund Popper prende spunto da Einstein e da un famosissimo esperimento che sarebbe stato fatale per la relatività in caso di esito negativo,per costruire la sua filosofia della scienza.
29 maggio 1919: eclissi di sole. La Royal Society e l’astronomo Arthur Eddington sono incaricati di effettuare l’osservazione (in Brasile) e verificarne i risultati.
La relatività generale affermava che i raggi sarebbero stati deviati a causa dalla massa del sole.
Il sistema di stellare Hyades allo sguardo di un osservatore sulla terra, sarebbe dovuto apparire in una posizione differente da quella che solitamente presentava in assenza del sole. Questo perché il sole devia il raggio di luce proveniente dalle stelle dando l’illusione di provenire da un altro punto.
Così fu. A dir la verità Albert (che “si giocava la carriera” e la sua bellissima teoria) non sembrava molto preoccupato da questo esperimento ed ebbe a dire : « Max Planck non capiva nulla di fisica perché durante l'eclissi del 1919, è rimasto in piedi tutta la notte per vedere se fosse stata confermata la curvatura della luce dovuta al campo gravitazionale. Se avesse capito davvero la teoria avrebbe fatto come me e sarebbe andato a letto »
Il raggio arancione rappresenta la luce che sembra provenire da una posizione diversa da quella in cui si trovano le stelle da cui effettivamente proviene. La linea grigia rappresenta il reale percorso della luce. |
A questo punto se prendete in esame il famoso testo di Popper “Congetture e confutazioni” (1962) troverete ripetuto fino alla nausea che il criterio di demarcazione tra scienza e non scienza è dato dalla possibilità di controllare empiricamente le teorie scientifiche. Il filosofo cita molte volte l’esperimento del 1919 come caso esemplare di teoria scientifica corroborata (validata) da un esperimento scientifico. Tale esperimento sarebbe stato fatale per la teoria, se avesse avuto esito negativo. Al contrario la sua conferma non dà alcuna certezza definitiva sulla verità assoluta della teoria della relatività, e nessuno può escludere che un domani non salti fuori qualche osservazione che smentisca la teoria (come è accaduto per la meccanica newtoniana dopo più di 200 anni).
Il dibattito sulla filosofia della scienza dei primi anni ‘30 del secolo e successivi, ruota attorno al problema centrale della demarcazione tra scienza e non scienza. Centrale il ruolo del circolo di Vienna (Rudolph Carnap, O. Neurath, Bertrand Russell, Ludwig Wittgenstein e inizialmente anche Karl Popper) che negli anni venti dà origine al movimento del neopositivismo. Questo movimento conosciuto anche come (empirismo logico) affermava che il criterio di demarcazione tra scienza e non scienza fosse la verificabilità, dove verificabile significa passibile di verifica attraverso un’osservazione. In particolare il principio di verificazione afferma:
Per ogni enunciato P, P è dotato di senso se e solo se è verificabile.
A questo punto siamo andati oltre. Il criterio non si limita ad una demarcazione della scientificità di un enunciato, ma della sua significatività. Ogni enunciato è sensato se verificabile empiricamente e quindi osservabile. Questo perché i neopositivisti volevano eliminare la religione e la metafisica dall’insieme delle attività linguistiche dotate di senso. Ma a questo punto qualcuno potrebbe obiettare: chi ha mai osservato un oggetto matematico? Allora anche la matematica sarebbe un “non senso”. Il criterio è troppo stringente e farebbe fuori la stessa scienza, dunque non è applicabile.
Il nocciolo della questione è il seguente. I neopositivisti volevano considerare validi solo gli asserti di un certo tipo:
logicamente corretti.
osservabili empiricamente.
Per quanto riguarda la prima voce non c’è bisogno di ulteriori precisazioni. La seconda invece presta il fianco a numerose domande: che significa osservabile?
Ad occhio nudo? Con l’uso di strumenti? Strumenti realizzati o teoricamente realizzabili?
Se ad “osservabile “ diamo il significato di “ad occhio nudo”, gli elettroni sarebbero “non sensi” perché nessuno li può vedere ad occhio nudo. Ma non si possono vedere neanche con i microscopi più potenti! E’ vero possiamo manovrare gli elettroni, scoprire le loro proprietà,ma non possiamo vederli.
Dal punto di vista epistemologico conosciamo le particelle non direttamente, ma attraverso lo studio dei loro effetti.
L’errore dei neopositivisti sta nella ossessione di dividere asserti fattuali da asserti teorici; per cui un asserto che non ha componenti fattuali è considerato non valido. In realtà nella scienza non esistono solo asserti fattuali puri, ma molti asserti sono carichi di teoria (come ad esempio la definizione di elettrone). In un importantissimo articolo (Due dogmi dell’empirisimo ) del 1951, Willard Van Orman Quine mette in discussione e scardina i principi base del neopositivismo.
Popper, con la sua filosofia della scienza,propone come alternativa al verificazionismo il criterio di falsificabilità:
una teoria è scientifica, se e solo è falsificabile
Abbandonando la pretese di dissolvere metafisica e religione, Popper si concentra su ciò che gli sta più a cuore: stabilire un criterio di demarcazione tra scienza e non scienza.
Foto di karl Popper
Per Popper la scienza non può dare una descrizione Vera sul mondo, ma solo verosimile. Questo perché come abbiamo detto in precedenza, una teoria corroborata dall’esperienza non è vera in maniera definitiva, ma potrà sempre essere smentita da future esperienze. C’è quindi una forte asimmetria tra conferma e confutazione. Una moltitudine di conferme non bastano ad affermare in maniera definitiva una teoria, ma una sola esperienza negativa è sufficiente per confutarla.
Così è accaduto alla meccanica newtoniana. E’ interessante notare che anche se la meccanica newtoniana è stata confutata è pur sempre una teoria scientifica. Quindi ci troviamo di fronte all’apparente contraddizione di una teoria confutata, ma scientifica a fronte di teorie non confutabili e considerate dunque non scientifiche. In realtà ancora oggi la fisica pre-relativistica è usata in molti ambiti e costituisce una base scientifica rigorosa. Infatti nei casi in cui non emergono effetti relativistici, la meccanica risulta una ottima approssimazione della realtà. Sia qualitativamente che numericamente conduce a risultati rigorosi. Le formule sono vere in un determinato ambito e non per la totalità dei fenomeni. Quindi la fisica newtoniana, per un gran numero di casi particolari, è un’ottima approssimazione di quella relativistica.
Piccola nota che può anche saltare chi non ama la logica formale. Dal punto di vista della logica, il criterio di falsificabilità si basa sul modus-tollens:
t --> p ~p
________________
~t
Collegato alla teoria della falsificazione c’è quello che Popper definisce il razionalismo critico: l’atteggiamento dello scienziato dovrebbe essere quello di cercare casi che smentiscano le teorie e non quello di trovare conferme. Perché solo la possibilità di una smentita netta, può rendere una teoria scientifica.
Il filosofo prende come esempi il marxismo, la psicoanalisi e la teoria del complesso di inferiorità di Alfred Adler. In queste tre teorie è sempre possibile trovare degli escamotage per sfuggire dalla confutazione. Oppure , in ogni caso, possono spiegare due eventi tra loro opposti: ciò significa che non contengono informazioni scientifiche, perché spiegando tutto, non spiegano nulla.
Popper fa il seguente esempio:
Consideriamo due uomini. Uno che getta un bambino nell’acqua con l’intenzione di affogarlo e un uomo che si sacrifica per salvare la vita di un bambino che sta affogando. Entrambi questi casi possono essere spiegati in maniera convincente sia dalle teorie di Freud che di Adler.
Per Freud il primo uomo è un individuo represso a causa complesso di Edipo, mentre il secondo sublima i propri istinti compiendo gesti eroici. Secondo Adler il primo, soffrendo di complesso di inferiorità, vuole dare prova della propria forza dimostrando che è capace di compiere un crimine; il secondo per dare prova della propria forza usa la strategia opposta, salvando il bambino.
Non si può immaginare un caso, che non possa essere spiegato ricorrendo alle due teorie; i seguaci ne rimangono affascinati, mentre quella che sembra forza di queste teorie è ,in realtà, la loro debolezza. La teoria di Einstein invece con l’osservazione di Eddington ha dovuto affrontare una test che poteva confutarla. E’ un po’ come scommettere a priori su un evento futuro; mentre nel caso di Freud ed Adler le spiegazioni, essendo sempre a posteriori, non possono mai subire un esame severo e determinante.
Il principio di falsicabilità stabilisce quindi una demarcazione tra scienza e pseudo-scienza. La sociologia o le dottrine storiche non sono false, semplicemente non sono scientifiche.
E’interessante il racconto di Popper a riguardo della sua esperienza marxista. Inizialmente è affascinato dal marxismo e dal materialismo dialettico. In seguito, ne rimane deluso quando si rende conto che avrebbe dovuto convincere amici e sconosciuti a rischiare la vita per combattere in nome di una previsione profetica della storia che non può avere, come le teorie psicanalitiche, una conferma o una smentita definitiva. E’ meglio avere ambizioni meno pretenziose e cercare dei miglioramenti graduali, piuttosto che seguire un’idea determinista della storia, in cui esiste un occhio assoluto sul mondo che possa prevedere cosa accadrà in futuro. Il razionalismo critico per Popper conduce, in campo sociale, verso una società democratica e liberale, mentre il materialismo dialettico ed ogni visone storicistica del mondo conducono all’autoritarismo, che è il peggior male che una società possa avere.
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