La dialettica degli opposti e il giusto mezzo
Nabla: «Immagina un’opera d’arte di valore inestimabile. Ora pensa ad un Raffaello che distrugge le sue opere subito dopo averle realizzate. Pensa al rito del mandala: viene creata un’opera d’arte di valore estetico e semantico non inferiore a quello dei nostri più grandi artisti, e poi “puff”, fatta sparire di colpo dall’artista stesso, distrutta, per sempre».
Marco: «Parli dei monaci buddhisti? Sono dei pazzi. Lo dico in senso scherzoso. Ma a cosa può servire un gesto del genere?».
Nabla: «Tutto è giocato sulla differenza interno/esterno. Una volta realizzato, il mandala fisico, ha svolto la sua funzione. Successivamente, per interiorizzarlo, la volontà si deve liberare di esso. L’ho fatto mio, non c’è più bisogno che esista nel mondo esterno, ora è una parte di me. La distruzione della mia opera è distruzione della volontà, della vanità, della differenza soggetto/oggetto. Vita vuol dire interiorità, una volta che l’ho fagocitato non c’è più motivo che esita nella realtà esterna. Dunque significa solo che tutto esiste in rapporto alla nostra interiorità».
Marco: «Ah, siamo sempre ad uno degli eterni dilemmi. Dov’è il mondo: dentro o fuori?».
Nabla: «Sembra una domanda banale. In verità, è qui che si gioca la differenza tra le due culture. È sufficiente osservare la diversità tra lo sviluppo della conoscenza occidentale e quella di alcune civiltà orientali, che hanno consapevolmente posto le basi della filosofia su una teoria della conoscenza più “scettica”, in cui la conoscenza esteriore è, per dirla in termini agostiniani, vana curiositas».
Marco: «In realtà, l’Occidente è stato (e penso sia ancora) tormentato da questa domanda. Ad esempio, Sant’Agostino riteneva più importante la conoscenza interiore rispetto a quella esteriore. Però mi sembra che fosse interessato anche al sapere scientifico, infatti, ha addirittura anticipato la relativizzazione del tempo. Per di più, è stato il filosofo che più si è avvicinato alle teorie fisiche attuali riguardanti la nascita dell’universo, ovviamente considerando solo il punto di vista filosofico».
Nabla: «Sì, è vero. Ma per quello che interessa a noi in questo ragionamento, egli subordinava la conoscenza esteriore a quella interiore. Quindi, per lui, a differenza di chi ha condonato Galileo, la scienza avrebbe potuto essere utile alla conoscenza del mondo e, quindi, avrebbe permesso di conoscere meglio anche l’uomo stesso. Mi ricordo che Socrate aveva un pensiero simile a questo».
Marco: «In tal senso, io penso sia l’atteggiamento corretto. Perché concentrarsi troppo sull'interiorità porta ad una stasi. Non ci può essere scienza in una ricerca che non tiene conto del mondo esterno. Basta osservare alcune comunità di monaci: sono rimasti così come erano migliaia di anni fa, senza aver sfiorato il minimo progresso scientifico e tecnologico. Dall’altra parte, dare troppa attenzione al mondo esterno porta ad una stagnazione dell’elevazione spirituale ed etica, che sono fondamentali per la sopravvivenza dell’umanità e per non cadere in una sterile aridità. L’uomo che si sente vivo solo per ciò che possiede esternamente è come un sasso».
Nabla: «A questo proposito, un po’ di tempo fa, mi ha colpito un evento. Stavo parlando con una persona. In particolare mi chiese a cosa può servire la meditazione. Nel mezzo del discorso gli dissi: – “Noi non siamo solo quello che possiamo cogliere attraverso le nostre manifestazioni esteriori, c’è anche qualcosa che sta dentro di noi, che basta a se stesso, è la nostra interiorità. Ogni tanto dovremmo fermarci, isolarci dal mondo, dalle connessioni con l’esterno e cercare di entrare in contatto solamente con ciò che è dentro di noi ”. La cosa sorprendente è che, pur essendo una persona di una certa età, ha assunto l’espressione di chi ha afferrato un concetto nuovo ed inimmaginabile. Sembrava un bambino a cui la mamma ha detto per la prima volta “tu esisti”».
Marco: «Il problema del nostro tempo è che stiamo perdendo contatto con l’interiorità, non abbiamo più l’anima».

Interiorità / Esteriorità
Nabla: «Possiamo essere evoluti quanto vogliamo dal punto di vista scientifico, ma se non ci rendiamo conto neanche di esistere, mi chiedo che senso abbia. Per di più, anche l’etica è sorta dal momento che l’uomo ha preso coscienza della sua interiorità. Egli si rende conto che dentro di lui c’è qualcosa di prezioso, e così, per estensione di questa presa di coscienza sui suoi simili, sente l’esigenza di vivere rispettando l’esistenza altrui. Qualcuno di quelli che abbandona la società, lo fa perché vede nella massa una gran quantità di zombi senza anima».
Marco: «Pensi che oggi il mondo Occidentale sia più evoluto dal punto di vista etico o scientifico?».
Nabla: «Secondo me, dal punto di vista scientifico siamo dei giganti. Ho il sospetto che ci troviamo solo all’inizio e arriveremo all'inimmaginabile. Basti pensare che quasi tutta l’evoluzione scientifica e tecnologica è avvenuta nel nostro secolo e non sembra avere l’intenzione di arrestarsi. I progressi si susseguono a velocità impressionanti e, più si andrà avanti, più la crescita aumenterà la sua accelerazione. Tuttavia, se continuiamo a tirare bombe o a combatterci l’uno con l’altro, non vedo grandi speranze per l’umanità. Dal punto di vista etico siamo dei bambini. E questo penso sia pericoloso: dare ad un bambino un’arma molto potente che potrebbe non essere in grado di gestire non è rassicurante. Ad ogni modo, alcuni progressi li abbiamo fatti sicuramente. Pensiamo all'abolizione della schiavitù, all’emancipazione delle donne, alla libertà di espressione, alla …».
Marco: «Però, anche in questo caso i pareri sono discordanti. C’è chi dice che l’emancipazione delle donne sta distruggendo la famiglia, che la schiavitù si è solo spostata in altri paesi, che la liberà di espressione diventa anarchia».
Nabla: «Ecco appunto, quando si parla di scienza tutti siamo d’accordo, ma l’etica è così problematica. E sembra che alcuni eventi sociologici si ripetano in modo ciclico nella storia. La libertà porta gioiosità e favorisce uno sviluppo creativo e scientifico. Ma l’eccesso porta all’anarchia, alla confusione, ad una esagerata licenziosità. A quel punto, la dissoluzione completa dei valori morali riporta all’autoritarismo e ad una eccessiva rigidità morale. Ogni trasformazione ha i suoi benefici ed i suoi effetti collaterali».
Marco: «Allora non c’è soluzione?».
Nabla: «Non lo so, certamente non esiste la soluzione dei sogni e non sarà mai definitiva. Ragionando in termini puramente antropomorfi, penso che l’unica strada sia quella del “giusto mezzo”».
Marco: «Quale? Quello di Buddha o quello di Aristotele?».
Nabla: «Intendo uno stato di equilibrio che si colloca a metà tra gli estremi. Ma, anche in questo caso, ci sono dei problemi. Difatti sia Buddha che Aristotele hanno definito il giusto mezzo in relazione alla loro cultura. Per Aristotele, era una sorta di media tra i valori che la società in cui viveva considerava positivi e quelli negativi.
Egli ha identificato gli atteggiamenti virtuosi come giusto mezzo tra i comportamenti estremi. Ad esempio, il coraggio è la via di mezzo tra viltà e temerarietà. Gli altri sono:
• Temperanza: giusto mezzo tra intemperanza e insensibilità;
• Liberalità: giusto mezzo fra avarizia e prodigalità;
• Magnanimità: giusto mezzo tra la vanità e l'umiltà;
• Mansuetudine: giusto mezzo tra l'irascibilità e l'indolenza;
Può essere un ottimo punto di partenza, ma non bisogna limitarsi ai valori della propria civiltà ipostatizzandoli. E gli stessi estremi come sarebbero stabiliti? È ovvio che anch’essi dipendono dalla collocazione storica e culturale.
Per quanto riguarda Buddha, egli definisce il giusto mezzo come la vita monastica. Quest’ultima è una via di mezzo tra due eccessi. Il primo estremo è la vita voluttuosa, che porta a ricercare continuamente la soddisfazione di desideri, in una voluttà che non verrà mai saziata. L’altro estremo è l’ascetismo esasperato, che conduce all’orgoglio. Dunque, la vita monastica è la vita virtuosa che permette di rimanere nel giusto mezzo. D’altro canto - come abbiamo detto prima - questo tipo di esistenza, se abbracciata da tutti, toglierebbe di mezzo anche il progresso scientifico e la capacità produttiva dell’uomo».

Il bodisatva (allievo di Budda) impara la via del giusto mezzo Wat Olak Madu, Kedah
Marco: «Allora cosa intendi per giusto mezzo?».
Nabla: «Il problema è che l’uomo tende naturalmente verso gli eccessi. Potrei dire che il giusto mezzo in ambito sessuale è una vita di mezzo tra la lussuria e la castità. Nel medioevo la verginità era sacra, oggi è quasi vergogna. La saggia concezione greca del nulla di troppo direbbe: la morigeratezza sessuale è importante, ma non deve essere ottenuta per costrizione. Oppure, la vita non va basata sul piacere, ma non lo deve neanche escludere. Quindi una via di mezzo tra ricerca interiore ed esteriore potrebbe essere: non scordarti mai di conoscere te stesso, ma continua a conoscere ciò che hai intorno. Il mezzo tra il dogmatismo e lo scetticismo è non so nulla, ma devo sapere. Se vuoi questo giusto mezzo è una compresenza armoniosa ed equilibrata di elementi opposti o diversi.
Per fare ancora meglio, dovremmo introdurre un concetto più malleabile, che riesca ad adattarsi allo scorrere del tempo ed al cambiamento. Per questo è necessario un giusto mezzo “analitico”, cioè applicato alla singola situazione ed al contesto, mai ad una realtà ideale ed immobile. Il giusto mezzo io lo vedo come equilibrio puntuale e contestualizzato, una sorta di media tra i valori vigenti nel contesto spazio-temporale dell’agente».
Marco: «Capisco quello che dici. Tuttavia da realizzare è molto difficile. In ogni caso, penso che l’eccesso non sia da disprezzare. Mi sembra che sia proprio l’eccesso che porti l’uomo ad evolversi verso una determinata direzione. La storia ricorda gli uomini che abbracciano gli eccessi. Per raggiungere un elevato livello in qualche attività bisogna dedicarle tutte le energie ed il tempo che abbiamo, fino al punto che può diventare quasi un’ossessione. Prendi la stessa filosofia. Essa nasce come uso eccessivo del pensiero. Se Platone o Aristotele fossero stati equilibrati, ed avessero scelto una vita più equilibrata, non avrebbero concepito quella ricchezza di pensiero che ha caratterizzato la loro opera».
Nabla: «Effettivamente non hai tutti i torti. Mi ricordo che anche Einstein affermò che stava rischiando di diventare pazzo dopo essersi barricato in casa qualche anno, tentando di formulare la Relatività Generale. E la sua mente era decisamente sbilanciata verso la scienza. All’opposto, potrei prendere San Franceso di Assisi che era completamente assorbito dalla religiosità; ciò nondimeno, proprio grazia a questa dedizione assoluta, è stato uno tra i più grandi santi che l’umanità abbia mai conosciuto».
Marco: «Per riuscire al massimo in qualche attività, oltre alle capacità innate, bisogna dedicare tutto quanto a quella disciplina, trascurando molti altri aspetti dell’esistenza».
Nabla: «E dunque, si entra necessariamente in una fase di squilibrio, in cui siamo proiettati verso un obiettivo che ci richiama sempre verso di lui. Ad ogni modo, penso sia proprio questa la nuova sfida da affrontare: l’eccesso alla lunga non paga e porta ad una stagnazione, o conduce addirittura ad un peggioramento».
Marco: «Io senza eccesso non vedo progresso. È proprio dall’eccesso che emergono le innovazioni, le quali, in uno stato di equilibrio, rimarrebbero nascoste».
Nabla: «Alla fine penso che la sproporzione porti comunque ad un equilibrio. Gli eccessi tendono a compensarsi per evolvere verso la media in un processo dialettico. La fusione di istanze opposte, che, alternandosi, portano ad un perfezionamento».
Marco: «E la dialettica avviene tra gli individui, nella storia, nel pensiero. Un ritorno a Hegel?».
Nabla: «No, per carità. Hegel ha piegato il processo dialettico ai suoi servigi. Nonostante la sua grande cultura, il nostro ha ingiustamente strumentalizzato la dialettica per dire che la sua religione era la migliore, che la sua filosofia era la summa di tutte le filosofie.
Io intendo una dialettica pura, flusso di opposti che, compensandosi, si spostano verso l’equilibrio. Non è detto che il flusso dialettico segua un’evoluzione diacronica. Mi sembra che possa essere pensato anche come un processo vittima dell’ eterno ritorno, non c’è necessariamente un’evoluzione temporale lineare nello svolgersi del flusso dialettico. Ogni volta che si cade verso un eccesso, c’è una controparte dialettica che tende a riequilibrare lo stato di cose. Poi l’equilibrio cede nuovamente il passo ad un estremo e l’altro opposto è pronto a riportare verso il centro l’ago della bilancia».
Marco: «Quindi la dialettica è lo strumento per arrivare al giusto mezzo».
Nabla: «A mio avviso sì. Saltando da un opposto all’altro, si ottiene una sorta di media in cui i contrari si fondono. Ti faccio degli esempi più concreti. Tra il Dogmatismo (verità unica ed indiscutibile) e lo scetticismo (assenza di verità) c’è la ricerca intesa come indagine che ha come obiettivo la verità, ma che può essere sempre messa in discussione (il Socratismo). Quindi la dialettica tra scetticismo e dogmatismo è la ricerca. Pensa anche al passaggio dall’Illuminismo al Romanticismo. Il Romanticismo nasce come reazione all’Illuminismo e al Neoclassicismo. All’eccesso di razionalità e al culto della bellezza classica si contrappongono la spiritualità, l’emotività, la fantasia, l’immaginazione, e, soprattutto, l’affermazione dei caratteri individuali di ogni artista dell’epoca romantica. Ma il processo non è sempre lineare.
Illuminismo e romanticismo non solo si alternano nel passare del tempo, ma la stessa cultura di una determinata epoca storica è frutto del processo dialettico tra le diverse istanze. Un periodo prevale una linea di pensiero, ma quella opposta è sempre presente e viene difesa da una minoranza. La storia è scritta dai vincitori, ma i perdenti di oggi sono i trionfatori di domani. In sintesi, i due estremi si nutrono uno dell’altro in un processo che non ha né fine né evoluzione diacronica. Dall’estremo nasce sempre l’opposto. Questa idea è una vecchia conquista, che ha origini lontane. Molte filosofie orientali si basano proprio sulla consapevolezza che da un opposto deriva anche l’altro, e che non c’è estremo senza la controparte. Si può intuire come la dialettica permetta di mitigare l’angusta prigione degli opposti. Essa tende ad un “rimescolamento delle carte” che porta alla nascita di un qualcosa che non è più opposizione degli opposti, ma fusione ed integrazione. Il processo è continuo, esso dà vita ad un movimento circolare e traslatorio allo stesso tempo. In questo modo è possibile sia la ripetizione, che l’evoluzione. È come se il processo dialettico disegnasse una spirale che trasla con moto orizzontale. Gli eventi si ripetono e oscillano tra gli opposti, ma i nuovi eventi sono sempre diversi da quelli passati».
Marco: «Il problema è che dovremmo spostare il processo dialettico a livello individuale. Ogni individuo dovrebbe essere dialettico in sé e vivere secondo il giusto mezzo».
Nabla: «Però come hai detto tu prima, se tutti fossero equilibrati, o se l’umanità stessa nel complesso fosse equilibrata, non ci sarebbe più l’estremo e quindi non ci sarebbe la specializzazione in una determinata credenza o attività, che porta comunque a competenze di livello molto più elevato».
Marco: «Dunque abbiamo uno squilibrio necessario, che viene equilibrato dalla dialettica. Però – in modo utopistico – se tutti fossero dialetticamente equilibrati non avremmo bisogno dell’eccesso. Sarebbe la media ad agire, anziché i picchi eccessivi dei singoli. Di conseguenza, produrremmo gli stessi risultati, in maniera più equilibrata».
Nabla: «Allora mi sembra che il giusto mezzo in sé, come equilibrio statico è desiderabile, ma quasi impossibile da ottenere. Invece – per forza di cose - la dialettica conduce verso il giusto mezzo in modo dinamico seguendo un moto circolare e traslatorio, ed è questa la conclusione che possiamo trarre dal nostro dialogo».
Marco: «Sembra di sì».
e dopo una cosi interessante lettura , giusto per restare in tema,
Est modus in rebus,sunt certi denique fines.
Ma stavo pensando e se l´artista distruggesse l´opera semplicemente perché non contento,perché troppo pignolo , perché ai propri occhi non incarna la perfezione,perché vuole sviluppare oltre e su altro le proprie conoscenze ?
Comunque mi sa che vado a leggermi cosa é questo rito
ciao
Il progresso scientifico. Ammetto di essere di parte (non scientifica, ma si capisce, ve'? 🙂 ), ma non sono così sicuro che la scienza sia necessaria. Certo, il progresso ha portato tante cose buone, ma prima che si sia trovato un modo ritenuto 'giusto' di servirsi degli ultimi ritrovati tecnologici ne son stati creati degli altri. Un po' come la lotta al doping, nello sport. Una rincorsa che vede sempre i 'buoni' ad inseguire. Se sono contento di stare dove sto, che senso ha chiedermi se potrei star meglio altrove? Ma tutti quanti veniamo trascinati dagli scontenti.. dunque il progresso è inarrestabile. Ma non è detto che sia una buona cosa..
Salut, Nabla. 😀
Ohi Nabla.. :)) Il progresso scientifico è una bella cosa ma, come hai detto, manca un 'giusto mezzo' etico che lo renda 'solo' buono. In passato (e il presente non promette molto bene) gli uomini hanno sempre abusato e distorto ogni nuova risorsa tecnologica. Ogni conoscenza viene, presto o tardi, impiegata nell'industria bellica. O per far soldi. Sul fatto poi che un equilibrio statico porti ad una stagnazione del processo evolutivo, ti direi: E allora? Qualora si stesse bene, che senso avrebbe chiedersi se si possa stare anche 'meglio'? Son sempre gli scontenti che si trascinano dietro tutti gli altri. In passato possiamo sostenere che sia stato necessario per sanare le ingiustizie, ma mi chiedo se sapremo riconoscere il momento in cui fermarci. E temo che la risposta sia no..
Salut.. 😀
X Pina: la distruzione è un modo per abituarsi alla transitorietà di tutto ciò che concerne l’esistenza.
X Fumb e Anonymous: è vero che il progresso è spesso usato in maniera negativa, ma è anche giusto guardare l’altra faccia della medaglia: la vita di una persona “media” nelle società occidentali è notevolmente migliorata rispetto al passato, grazie agli sviluppi scientifici e tecnologici.
C’erano tempi in cui si poteva morire anche per un’influenza. Le pestilenze hanno barbaramente ucciso moltissime persone. Il lavoro nei campi senza i mezzi di oggi era massacrante. Viaggiare era solo per i ricchi…La lettura e la scrittura erano per pochi eletti..Non molte persone potevano nutrirsi in modo adeguato..
A parità di status sociale, non posso negare che un uomo del 2000, vive in condizioni migliori di quelle in cui hanno vissuto i suoi antenati.
Come non posso negare che la tecnologia potrebbe portare ancora di più verso il benessere se fosse usata in maniera più saggia e razionale.
La tecnologia e il progresso scientifico possono essere un grande dono, ma sta a noi farlo diventare tale.
Ciao
E’ incredibile il numero di temi che hai toccato con questo post! E davvero non so cos’altro potrei aggiungere! Comunque, mi ha fatto molto piacere leggerlo, perché ti confesso che molti di questi ragionamenti li ho fatti anch’io, e proprio negli stessi termini (mantenimento o distruzione del mandala, il giusto mezzo e il problema che solo chi eccede raggiunge qualche risultato, la staticità delle comunità che si rinchiudono, il problema dell’essere giganti tecnologici e nani morali, la ciclicità storica fra libertà e oppressione). Quindi, l’unica cosa che posso dire è che… sono felice di non essere l’unica che si pone questi interrogativi. Anche se, oggettivamente, mi rendo conto che alla fine faccio parte di una minoranza che poi deve vivere in un mondo dove il concetto di “ricerca interiore” è preso per una sciocchezza…
Concordo... il principio socratico "Gli stolti hanno unicamente certezze; il saggio non ha che dubbi" è mio principio ispiratore da sempre...
Buon Ferragosto, carissimo... a presto, tuo
Cosimo
sono ammirata dalla dissertazione
Essenzialmente, Agostino di Ippona era uno stolto.
Ciao
se il mezzo tra tutti gli estremi addottato a tutta l'umanita' la rendesse cosi' giusta da porla ad analizzare,studiare testare tutti gli estremi con quel distacco da poter crescere in tutti gli ambiti,senza escluderne,rimanendo sempre nel giusto?
Sarebbe perfetto, ma forse proprio per questo è difficilmente raggiungibile...
Ciao
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Ciao, è tanto che non passo di qui, sempre bello questo sito 🙂
Grazie per essere passato nel mio blog
Un bacio
Piccolo premio per te nel mio blog 🙂
Ciao come stai? Premio per te nel mio blog 😉
la dialettica conduce al giusto mezzo in termini filosofici .Nella pratica del potere porta guerre e distuzioni.
I potenti del mondo non sono così illuminati .Ci vorranno miglioni di anni per far crescere l'umanità nel suo insieme!Ma avrà tutto questo tempo a disposizione?
nON CAPISCO UNA MAZZA ma Vi leggo ...spero Vi garbi !