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18 Aprile 2009
Nabladue
Tempo di lettura: 4 minuti

Ma dove sono finiti i maestri?

“Maestro” – “Come scusi? Si dice Professore!”

Fin dalle scuole medie insegnano a disprezzare la parolamaestro”. Uno degli avvenimenti che face arrabbiare molto un mio professore delle scuole medie, fu quello di essere stato invocato in quel modo spregiativo. Al contrario – secondo me - senza maestri l’istruzione non può funzionare. Sembra una questione di inutili polemiche sulle parole, ma - in realtà - è un sintomo del distacco che, chi insegna – spesso - tende a stabilire nei confronti degli studenti.
Per curiosità, ho effettuato una piccola ricerca etimologica. Professore viene da professòrem che deriva da profèssum, participio passato di profitèri che significa dichiarare pubblicamente, professare, insegnare. Mi fa venire in mente un insegnante che professa e degli ascoltatori che ricevono la profezia. Andiamo a vedere maestro. Deriva da Magister, ed ha la stessa radice mag di magis, magnus che significa grande. Senza entrare nei dettagli, con il suffisso “Ter” diventa: il più grande, il maggiore.
Quindi indicava il più grande esperto di un’arte, una scienza, un’attività.
Lasciando le questioni etimologiche, che in ogni caso ci danno l’idea di un cambiamento nel valore che le pedine subiscono nella scacchiera della società, vorrei evidenziare che il maestro è qualcosa di più rispetto ad un professore.

Questo qualcosa in più è dato dal rapporto umano. Dal saper costituire una guida, al di là degli insegnamenti prettamente scolastici. Soprattutto, deriva dal conoscere se stessi e dal porsi come esempio nella conoscenza del sé. Il maestro, in quanto ha realizzato pienamente la sua esistenza, facendo ciò per cui è nato e nel modo migliore, si pone come “exemplum” per gli allievi.
Il vero maestro è colui che trasmette la passione per un’arte o per una scienza con la sua semplice presenza. E con questo riesce a trasmettere anche l’importanza fondamentale del fare ciò per cui siamo nati, coltivando le nostre passioni e le nostre inclinazioni. Infatti, quando il lavoro non è passione, ma semplice esecuzione meccanica, diventa alienante e – invece di nobilitare – abbrutisce.

Nella Grecia antica, una componente fondamentale della “scuola” era l’amicizia, che si veniva ad instaurare all’interno del gruppo.
Tralasciando l’aspetto erotico-sessuale che faceva parte del rapporto maestro-allievo (in cui si cade in nell'eccesso opposto del distacco), l’amicizia e l’amore avevano un ruolo importante nell’insegnamento. Questo perché l’amore e l’amicizia, servono proprio a rompere il distacco, aprono nei confronti degli altri, creano fiducia.
Infatti, l’amore spezza ogni vincolo e limitazione, aprendo la mente della persona, riempiendola di stima e fede nei confronti del maestro. Il discente diventa come spugna pronta ad assorbire l’acqua della conoscenza che il maestro lascia cadere per terra. In termini junghiani,anche nella psicoanalisi, l’innamoramento del paziente può giocare un ruolo importante nella guarigione. L’allievo è come un paziente che deve guarire dalla sua ignoranza.

Inoltre, il fattore più importante è quello di saper trasmettere la passione per una disciplina o per un’arte. Purtroppo, ho dovuto constatare che – spesso - chi insegna non riesce a trasmettere l’amore per la sua arte non per incapacità, ma addirittura perché non ama realmente ciò che insegna.
Perché occupa quel posto? I motivi possono essere tanti. Più di tutto, nel nostro paese, dove spesso le posizioni non si occupano per via dei meriti, ma grazie a circostanze esterne, si ha un alto numero di persone che occupano una posizione solo per via del caso.

Un altro male dei nostri tempi, è la ferma convinzione che chi insegna non abbia più nulla da imparare. Infatti, in molte discipline, chi insegna - arrivato ad un certo livello di conoscenza e padronanza della sua arte - smette di approfondire e imparare. Questo può essere dovuto a due fattori principalmente:

1) Presunzione. La persona ritiene di non aver nulla. A maggior ragione, ritiene di non aver nulla da imparare dagli allievi. Tale ideologia tende ad innalzare ancora di più il muro che c'è tra docente e discente.Alcune volte – per orgoglio – gli insegnanti ostacolano addirittura gli allievi più bravi. Per portare un esempio, basti ricordare che Einstein non ottenne neanche un dottorato di ricerca dopo essersi laureato. In realtà, anche chi insegna ha sempre da imparare. Bisognerebbe che alcune persone scendessero dal piedistallo e si mettessero in cerchio insieme agli allievi, poiché perfino il maestro dovrebbe sempre rimanere anche un po’ allievo.

2) Smania di guadagno monetario. Una volta ottenuto il compenso,invece di pensare al proprio miglioramento, ci si adagia su una tranquillità economica e non si cerca di affinare la propria preparazione. Non si ha il coraggio o la voglia di ridurre temporaneamente il lavoro, per riprendere lo studio o la formazione. Nell’ Università italiana i programmi di studio sono sempre obsoleti e, spesso, i professori - non avendo mai lavorato e non essendosi mai aggiornati – ripropongono quello che hanno studiato loro all’università. In Italia, molte persone dicono “Va bene, ma l’Università serve per darti le basi, poi il resto lo fai sul lavoro” . Non è assolutamente vero.
Primo, perché sul lavoro nessuno è disposto ad insegnare. Secondo, perché mentre un americano esce dall’università (a 22 anni) con le basi e perfettamente aggiornato sulle ultime evoluzione della sua specializzazione, lo studente italiano deve praticamente ricominciare da capo. Prendete materie come l’informatica o l’elettronica che sono in continua evoluzione. La dinamicità di alcune discipline contrasta con la staticità di molti professori che rimangono mummificati al tempo della loro laurea.

3) Nella società dell’apparenza, a volte, i docenti – soprattutto in ambito professionale- vengono scelti non in base alla preparazione, ma in base alle capacità comunicative e di parlare in pubblico. Giovani rampanti che parlano molto bene nella forma, con voci da teatro, atteggiamenti carismatici, ma saranno altrettanti bravi nella sostanza?
“Le persone si annoiano quando ascoltano un corso, ogni mezz’ora è bene mettere delle donne nude” – mi disse una volta una persona che insegnava a degli ufficiali. Per prima cosa, mi piacerebbe sapere se la platea fosse femminile quale sarebbe l’immagine per ridestare le coscienze delle allieve. Secondo, mi chiedo se l’insegnante debba insegnare o fare il presentatore.

Tralasciando la questione specifica del nostro paese,il non avere maestri è un fatto gravissimo, e un grosso fardello per la società. Se non vogliamo che la mediocrità ci avvolga, sarebbe opportuno dare spazio e coltivare dei veri maestri.

14 comments on “Ma dove sono finiti i maestri?”

  1. Bell'argomento.....condivido e aggiungo:
    si è fatto di tutto " cosciene o no "
    per distruggere i veri valori nella vita del'Uomo e sinceramente non vedo per il futuro alcun "ripensamento".
    Fino a quando le "mete i valori" da raggiungere sono quelle che si prefigge la Società odierna...
    Salvo un "cataclisma" che c'è Ci faccia rincontrare e riconoscerli.

  2. Ciao Nabla, sempre belli i tuoi post!
    L'argomento che sollevi mi sta molto a cuore.
    E come al solito sono d'accordo con te.
    Ti pongo questa riflessione:
    peggio e molto più pericolosi dei Professori che abbiamo oggi e che tu hai ottimamente descritto, sono i Professori che nascono professori e che si definiscono Maestri, utilizzando ora le caratteristiche dell'uno, ora le caratteristiche dell'altro che ahimè però di solito si riducono a quella più nefasta l'autoglorificazione narcisitica.

    Per parafrasare Platone e, più recentemente Alan Moore:

    "chi controlla i Maestri?"

  3. Mi permetto di dissentire sul punto 3: avendo ricoperto vari ruoli legati all'insegnamento (docente universitario, formatore, doposcuola) mi sono reso conto dell'importanza del coinvolgimento, a prescindere della tecnica. Il coinvolgimento è fondamentale per la passione, a patto che la tecnica non diventi il contenuto, fine a se stessa e a servizio del docente-prof-maestro e del suo ego piuttosto che al servizio di chi ascolta.

  4. Mi chiamano "Maestro".

    In realtà lo fui, nei tempi lontanissimi in cui tutto in me era verde: l'età, le tasche, le idee....

    "Sono verdi le idee??", mi chiede a bocca aperta per lo stupore il mio amico Tirinnanzi.( L'uomo,che vive in un fumetto onirico e muove la bocca e gli arti e rotea gli occhi in sequenza rallentata; sai come quando in sogno par di cascare dall'alto ed al suolo mai spiaccica il corpo).

    Le idee in particolare hanno cambiato colore; non le tasche, purtroppo. L'età ha acquistato quella tonalità quasi incolore della saggezza, l'ambra con cui i monaci tibetani adornano il proprio dito mignolo in segno di riconoscenza verso il dio Akasagarbha.

    Avrei molte cose da insegnare ai supponenti piccoli uomini come il dottor Alfiepa......

  5. Mi fai pensare a quanto mi sono commossa nel dire al mio professore di filosofia che lo considero il mio Maestro e, soprattutto, nel vedere con quale emozione e imbarazzo mi ha risposto.
    È una cosa talmente rara, ormai, che la considero il dono più prezioso che la vita mi ha fatto sino ad ora.

    Un saluto!

  6. Mi hai cliccato, incuriosita sono venuta a leggerti e l'ho trovato piacevole.
    Porsi domande è una filosofia in sè, cercare risposte adeguate è la massima ambizione del filosofo ma intimamente "anche"nostra; per evolverci, per cambiare, per prolungarci nell'acquisizione di concetti solidificando valori.

    Ahimè,ritengo che la figura del "Maestro"sia una concezione più romantica, storica, che attuale. Il Maestro dovrebbe possedere carisma, potere di attrazione, quel fascino che gli deriva non solo dalla forza delle idee ma dal potere del trasmetterle attraverso quella fiamma inestinguibile della "Personalità".
    Maestri, come maestri di vita, anche spicciola, ma con qualcosa da dare e da dire.
    La società oggi è fatta da mestieranti più o meno edotti, più o meno appassionati, ma molto, molto livellati ai minimi termini.

    un saluto
    Lunadimarte, ciao 🙂

  7. Ciao nabla! ormai vengo qui sempre più raramente, ma è sempre un piacere!!!

    Condivido pienamente ciò che dici, e non ho bisogno di aggiungere altro!

    P.S. ho notato una citazione familiare al lato della pagina:

    "Finirai per trovare la via...se prima hai il coraggio di perderti"

    da Un altro giro di giostra (se non erro). Vedo che lo hai letto!

    Un saluto

  8. Ciao Peppe, mi fa sempre piacere vederti da queste parti. Un altro giro di giostra l'ho letto qualche anno fa,poco dopo la prima stampa.Però quella frase l'ho trovata per caso poco tempo fa sul web, quindi non ti so dire se è di quello o di un altro libro...
    ciao

  9. La digniità di un professore è alla base e se lo Stato in vari modi con tagli e finanziamenti contorti non è in grado di dare come si pensa che lo facciano gli alunni?

  10. ciao
    parecchio che non ci leggiamo
    un po' di stop..per cause ...ero in un posto non collegato alla rete, direi un posto raro ...

    un saluto "Maestro"

    Mauri

  11. il titolo professore a par mio sembra enfatizzato di solenne personalità, ma in egual modo l'appellativo idoneo e semplicemente insegnante, che ha due modi di essere professionista di qual si voglia cultura maestra

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