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4 Settembre 2023
Nabladue
Tempo di lettura: 19 minuti

Stai zitta di Michela Murgia

Il Femminismo: Dalla Lotta per i Diritti alla Misandria

Così procede la storia. La gente tesse una rete di significato, crede in essa con sincerità e passione, ma presto o tardi la rete si disfa e quando la guardiamo retrospettivamente facciamo fatica a capire come qualcuno abbia potuto prenderla sul serio.
Yuval Noah Harari

 

Il femminismo, come ogni movimento sociale, ha attraversato diverse fasi e interpretazioni nel corso della sua storia. La sua origine risale al tardo Illuminismo e alla Rivoluzione francese, periodi in cui le donne iniziarono a rivendicare la parità di diritti nei rapporti civili, economici, giuridici, politici e sociali rispetto all'uomo. Questa lotta era ed è ancora oggi essenziale per garantire un mondo più giusto e paritario.

Come ogni movimento che cresce e si evolve, il femminismo ha visto emergere correnti di pensiero diverse, alcune delle quali hanno deviato dal suo nucleo originale. Oggi, il femminismo è un movimento ampio e articolato che, in alcuni casi, tende a porre l'accento sull'antagonismo donna/uomo, cercando di realizzare una trasformazione culturale e politica che va oltre la semplice parità di diritti.

Il libro che ho ora tra le mani mi sembra rappresentare un esempio di quello che definisco "femminismo estremista", un termine che viene utilizzato per distinguerlo dal femminismo tradizionale, inteso come lotta per i diritti sociali e la parità.

Nel femminismo estremista la lotta per i diritti si trasforma in misandria , un'estrema avversione o pregiudizio contro gli uomini. Seppur condivido appieno il femminismo come rivendicazione della parità di diritti e opportunità, non posso fare a meno di esprimere il mio disaccordo con quelle correnti che trasformano il femminismo in misandria . La lotta per la parità non dovrebbe mai tradursi in odio o avversione verso l'altro sesso.

Paradossalmente, questo tipo di ideologia, invece che aiutare a combattere certe forme di maschilismo, non fa altro che irrigidire le posizioni, polarizzare la discussione e portare sempre più persone a considerare con sospetto dei movimenti, che spesso incitano all’odio e alla discriminazione del genere maschile.

Il libro di Michela Murgia “Stai zitta” presenta tantissime affermazioni che ritengo ideologiche, false, e anche sbagliate dal punto di vista logico o fattuale. Sebbene contenga alcune istanze condivisibili, molte delle sue argomentazioni sono basate su presupposti ideologici piuttosto che su fatti concreti. È un libro costellato di asserzioni approssimative o semplicistiche.

Mettetevi comodƏ e, se avete pazienza, dedicate qualche minuto alla lettura di questo articolo. Non sparo critiche senza dare prove di ciò che sostengo. Entrerò nei dettagli di molte affermazioni del libro, per dimostrarne la fallacia argomentativa o per riconoscerne la validità, qualora le affermazioni siano il linea con la realtà dei fatti.

È importante sottolineare che la lotta per la parità di genere dovrebbe basarsi su dati reali, ricerche approfondite e un dialogo costruttivo tra tutti gli attori coinvolti. La misandria, o qualsiasi forma di odio, non ha posto in questa lotta. È nostro dovere, come società, garantire che il dialogo sulla parità di genere rimanga costruttivo, rispettoso e basato su fatti concreti e non su argomentazioni prive di fondamento.

 

“Stai zitta” di Michela Murgia analizzato concetto per concetto

Stai Zitta Michela Murgia

Stai zitta viene detto solo alle donne

Affermazione :

Morelli perse completamente le staffe e all’improvviso mi intimò «Zitta! Zitta! Zitta e ascolta! Sto parlando e non voglio essere interrotto!» Il video, ancora reperibile in rete, divenne virale e per giorni si parlò di quell’episodio con incredulità, come se fosse un unicum comportamentale, il caso straordinario di un uomo dai nervi poco saldi che non aveva potuto sopportare di essere contraddetto da una donna.

…..

la pratica dello «Stai zitta» non è solo maleducata, ma soprattutto sessista, perché unilaterale; invano cerchereste una donna che abbia pubblicamente tentato di imporre il silenzio a un uomo, nemmeno in contesti molto alterati.  Stai zitta – Michela Murgia

Commento:

L’affermazione “invano cerchereste una donna che abbia pubblicamente tentato di imporre il silenzio a un uomo” è palesemente FALSA. Al fine di falsificare il dogma di Michela Murgia è sufficiente fare una semplicissima ricerca su Youtube.

Asia Argento contro Senaldi: "Stai zitto! Ti infilo il tacco in bocca come in un film di mio padre"

Per di più, anche gli uomini si zittiscono tra di loro con la stessa frase. Basta fare un’altra semplicissima ricerca.

Allegri vs Adani: "Ora parlo io, stai zitto" Inter-Juve 2019

 

Inoltre, la cultura popolare ha anche immortalato questa frase, come nel brano di Salmo intitolato "STAI ZITTO". Se la canzone avesse avuto un titolo al femminile, chissà quali conclusioni avrebbe tratto l'autrice.

In sintesi, l'espressione "stai zitto/a" non è intrinsecamente sessista.

È piuttosto un'espressione di frustrazione o aggressività verbale, utilizzata indistintamente da e verso entrambi i sessi. La realtà è che, nella vita quotidiana, questa frase viene pronunciata in vari contesti e da persone di ogni genere. La chiave sta nel riconoscere la sua universalità e nel non attribuirle un significato che va oltre la sua semplice espressione.

 

Le donne non conducono programmi televisivi e non esprimo pareri in televisione

Affermazione:

“La categoria televisiva della velina bella e zitta è talmente diffusa tra le reti e perdurante nel tempo da non aver bisogno di citarne gli esempi, ma anche nei talk show dove sarebbe possibile esprimersi con competenza condivisa accade che le donne non siano quasi mai presenti o lo siano per motivi diversi dalla competenza. Il risultato è che la sproporzione nella possibilità di parola tra i sessi ha educato per decenni lo spettatore e la spettatrice italiani ad associare l’autorevolezza a un uomo e a vedere nella donna che ha un parere l’eccezione che va motivata.

In rari casi la presenza femminile viene risolta con la conduzione, che è effettivamente un ruolo di prestigio, perché ti consente di dettare temi e tempi, ma ti relega al ruolo della padrona di casa, dove le tue domande costruiranno certamente uno spazio di autorevolezza, ma per le risposte di qualcun altro.”

 

L’affermazione è palesemente falsa. Le conduzioni femminili che mi vengono in mente sono: Barbara Palombelli, Veronica Gentili, Maria De Filippi, Silvia Toffanin, Bianca Berlinguer, Myrta Merlino, Daria Bignardi, Michelle Hunziker, Ilary Blasi, Barbara d’Urso , Lilli Gruber, Virginia Raffaele, Eleonora Daniele, Antonella Clerici, Serena Bortone, Marzia Roncacci, Lucia Annunziata, Mara Venier, Francesca Fialdini, Federica Sciarelli, Milly Carlucci.

 

Quando si parla di co-conduzioni, che vedono la presenza sia di uomini che di donne, esistono innumerevoli esempi in cui le responsabilità e il tempo di conduzione sono equamente divisi tra i due generi.

Sinceramente non ho statistiche a riguardo, ma la stessa Michela Murgia non cita alcuna statistica ufficiale, affermando che “In rari casi la presenza femminile viene risolta con la conduzione”.

Già da qui si capisce che Michela Murgia non ami i numeri e l’obbiettività, ma proponga unicamente percezioni personali, spesso palesemente errate e in contraddizione con i fatti.

 

Affermazione:

Analizzando le trasmissioni di dibattito condotte da donne negli ultimi tre anni in Italia è evidente che il parterre degli ospiti – giornalisti, filosofi, scrittori, politici e scienziati – è e rimane costituito in grandissima maggioranza da maschi, perché si suppone che siano loro i soli ad avere le risposte alla complessità del mondo.  Stai zitta – Michela Murgia

Commento:

Anche in questo caso dove sono le statistiche?

La differenza tra mostrare dati concreti e condividere percezioni personali è sostanziale. Mentre i primi offrono una base oggettiva e verificabile, le percezioni, se presentate come verità assolute, possono trarre in inganno. È fondamentale sostenere le proprie affermazioni con prove tangibili, piuttosto che basarsi esclusivamente su opinioni, sentimenti personali o deduzioni logiche sorte da premesse ideologiche e dogmatiche.

 

Le ideologie ritengono che una sola idea basti a spiegare ogni cosa nello svolgimento dalla premessa, e che nessuna esperienza possa insegnare alcunché dato che tutto è compreso in questo processo coerente di deduzione logica.
Hannah Arendt

 

Solo alle donne viene detto che vogliono avere sempre ragione

Affermazione:

“La donna che non vuole irritare l’uomo con cui si sta confrontando deve agognare di avere spesso torto o almeno di non avere sempre ragione. Specialmente quando ha ragione.” Stai zitta – Michela Murgia

Commento:

Questa conclusione ci permette di portare alla luce un errore di metodo: la tendenza a vedere lo scontro verbale attraverso una lente di genere. Non viviamo forse le stesse dinamiche di conflitto nelle interazioni uomo-uomo, donna-donna?

La reazione di irritazione di fronte a un disaccordo non è forse legata più al temperamento individuale, piuttosto che al genere?

Basandoci sulle stesse percezioni personali citate da Michela Murgia, chi di noi non ha incontrato sia uomini che donne che mostrano irritazione quando vengono contraddetti?

La questione centrale qui è: si tratta davvero di una dinamica di genere o piuttosto di una questione di personalità?

Quante volte abbiamo sentito dire a qualcuno, indipendentemente dal genere, "Vuoi sempre avere ragione"?

Portare avanti una narrazione che vede il "maschio", come l'unico essere che non vuole essere contraddetto, sembra una semplificazione, una falsità e una forzatura ideologica.

 

Solo le donne vengono "bestializzate"

Affermazione:

Un gruppo di uomini che parlano è un consesso dialettico, un gruppo di donne è un pollaio. Quando Corona diede a Berlinguer della «gallina» è esattamente all’uso di quell’immagine che faceva riferimento. Se le donne giovani sono galline, le donne anziane che parlano sono invece cornacchie, secondo un processo di bestializzazione che tende ad accomunare tutte le voci di donna, giovane o vecchia che sia, a uno scontato senso di fastidio. Stai zitta – Michela Murgia

 

Commento:

L’errore è sempre lo stesso: vedere un fenomeno attraverso la lente di genere quando in realtà è universale. È essenziale riconoscere che anche gli uomini sono spesso vittime di simili riduzioni stereotipate. Gli uomini possono essere etichettati come "maiali" quando si comportano in modo sgradevole o lussurioso, o come "mandrilli" quando sono visti come aggressivi o dominanti. Questi esempi mostrano che la tendenza a "bestializzare" le persone non è limitata a un genere specifico.

  1. Maiale: usato in modo dispregiativo per indicare qualcuno di sporco o lussurioso.
  2. Cane: può avere connotazioni negative, per indicare la vicinanza al mondo animale di un uomo.
  3. Lupo: può riferirsi a un uomo predatorio o a uno che è un "lupo solitario".
  4. Mandrillo: usato talvolta per descrivere un uomo come aggressivo o dominante.
  5. Asino: può indicare testardaggine o stupidità.
  6. Serpente: spesso ha connotazioni negative, come la slealtà o la tentazione.
  7. Orso: può riferirsi a un uomo solitario.
  8. Ratto: spesso usato in modo dispregiativo per indicare qualcuno di subdolo.

 

Il paradosso è che molte di queste “bestializzazioni” possono essere declinate sia al maschile che al femminile (come maiale/a), quindi vederle sotto una lente di genere è intellettualmente disonesto o sintomo di cecità mentale.

Proseguiamo ora con il capitolo successivo, poiché le osservazioni alle altre affermazioni di questo capitolo seguono una logica simile a quella appena esplorata.

 

 

Il timbro di voce delle donne è considerato fastidioso

Affermazione:

…[si] tende ad accomunare tutte le voci di donna, giovane o vecchia che sia, a uno scontato senso di fastidio. Stai zitta – Michela Murgia

Commento:

Mentre l'affermazione suggerisce che le voci delle donne siano frequentemente associate a un senso di fastidio, bisogna riconoscere che questa è una generalizzazione e non rappresenta l'intera gamma di percezioni esistenti. Infatti, in molte culture e contesti, le voci delle donne sono state celebrate e descritte in termini estremamente positivi.

  1. Melodiosa: Le voci femminili sono spesso descritte come melodiose, piacevoli all'orecchio e capaci di calmare.
  2. Dolce: In molte canzoni e poesie, la voce di una donna è paragonata alla dolcezza, evocando immagini di gentilezza e tenerezza.
  3. Potente: Pensiamo alle grandi cantanti liriche o alle icone della musica pop; le loro voci sono viste come potenti e capaci di evocare emozioni profonde.
  4. Angelica: In molte opere d'arte, la voce di una donna è stata descritta come celestiale o angelica, trasportando chi ascolta in un altro mondo.
  5. Chiara: La chiarezza e la nitidezza sono spesso associate alle voci femminili, specialmente in contesti narrativi o di presentazione.

Questi sono solo alcuni esempi che mostrano come le voci delle donne siano state percepite in una luce positiva.

È cruciale evitare generalizzazioni e riconoscere la vasta gamma di percezioni e descrizioni che circondano le voci femminili.

 

 

Ci sono solo uomini che occupano posizioni di potere e il gender pay gap è dovuto alla discriminazione di genere

Affermazione:

“Quando, ai primi di maggio del 2018, iniziai a contare quante firme di donne comparivano sulla prima pagina dei due principali quotidiani italiani, questa domanda me la sentii rivolgere molte volte, sia da uomini che da donne. Per sei mesi, ogni mattina, su «la Repubblica» e il «Corriere della Sera» cerchiai in rosso le firme delle donne e in nero quelle degli uomini, le fotografai e le postai sui social network, taggando i rispettivi direttori di testata con l’hashtag #tuttimaschi. Quel che volevo dimostrare era piuttosto semplice: non è vero che le donne sono dappertutto. “ Stai zitta – Michela Murgia

….

“Niente affatto, ma trasformarlo in un’evidenza argomentativa nel dibattito pubblico era e resta complicato, perché la prova di quanto sia fittizia la presunta parità possono fornirla solo i numeri e parlare di cifre e percentuali nei discorsi quotidiani è sempre difficile. Del resto, se sul gender gap bastasse sventolare le statistiche schiaccianti che l’Istat pubblica ogni anno, nessuno si sognerebbe piú di ripetere la falsità che le donne sono dappertutto. Se questo non succede è perché le persone hanno paura dei numeri, molte non sanno proprio leggerli e dunque, non fidandosene, non osano nemmeno usarli come argomento.” Stai zitta – Michela Murgia

 

Commento:

La questione non è la nostra avversione ai numeri, ma piuttosto la metodologia con cui sono stati raccolti. Nel libro, le statistiche sono rappresentate da semplici “cerchietti” fatti dall’autrice, piuttosto che da dati ufficiali. Non metto in discussione il valore relativo dei dati raccolti da Michela Murgia, ma sottolineo che potrebbero non essere rappresentativi in quanto affetti da bias di campionamento o selezione.

Bias di campionamento

Campionamento statistico

 

Ad esempio, basterebbe leggere una pagina ufficiale dell’ISTAT per capire che in Italia, il gender gap sulle retribuzioni è molto più basso rispetto al resto dell’Europa:

“D'altra parte, le minori differenze di reddito tra le donne e gli uomini si registrano in Romania (3 %), Lussemburgo (4,6 %), Italia (5 % nel 2017) e Belgio (6,0 %).” (Dati 2017)

Il gender gap delle retribuzioni in Europa è invece del 15% in media. Il gap esiste, ma la causa è complessa e ci sono molti studi a riguardo. (Dati 2017)

È assodato che uomini e donne tendono a prendere decisioni diverse riguardo all'impiego del loro tempo, all'istruzione, alla professione e alla progressione di carriera. Tuttavia, quando analizziamo i risultati di tali scelte attraverso i dati,

non possiamo determinare con certezza quale porzione di queste differenze sia dovuta a autentiche inclinazioni personali e quale sia influenzata dagli stereotipi culturali.

Il altre parole, è sbagliato ridurre tutto a una semplice questione di discriminazione. Numerosi esperti stanno indagando le ragioni dietro il divario salariale. Questa situazione è complessa e necessita di un'analisi multivariata. In parole povere, non esiste una singola causa dietro un fenomeno, ma una combinazione di fattori. L'approccio di certe correnti femministe estreme, che attribuiscono il divario salariale esclusivamente alla discriminazione di genere, è erroneo.

Come è sbagliato quello di chi non riconosce l'esistenza del gap e vorrebbe ostacolare l'approfondimento della questione dal punto di vista scientifico e statistico.

Sempre nella stessa pagina ISTAT si legge:

“Parte delle differenze di retribuzione si possono spiegare con le caratteristiche individuali delle donne e degli uomini occupati (ad esempio, esperienza e istruzione) e con la segregazione di genere a livello occupazionale (ad esempio, ci sono più uomini che donne in alcuni settori/occupazioni con retribuzioni mediamente più alte rispetto ad altri settori/occupazioni). Di conseguenza il divario retributivo è legato a svariati fattori culturali, legali, sociali ed economici che vanno molto oltre la mera questione di un'uguale retribuzione per un uguale lavoro.”

Fonte ISTAT gender gap retribuzioni

 

E' importante riconoscere  l'esistenza della disparità di genere in molte sfere e anche nelle retribuzioni. Ma, allo stesso tempo,  è sbagliato affrontare il problema in maniera dogmatica e senza riferirsi a dati reali e obbiettivi. Dobbiamo essere onesti e analizzare le casistiche in modo puntuale, ed evitare generalizzazioni fuorvianti.

Per di più, la parità dovrebbe essere perseguita in ogni ambito, non solo dove è conveniente. Se chiediamo quote rosa nei consigli di amministrazione, dovremmo anche considerare settori come l'edilizia o le forze armate. L'argomento che certi lavori richiedono una forza fisica superiore non regge più, dato che la tecnologia moderna ha reso molti compiti accessibili a tutti, indipendentemente dal genere.

 

Altre fonti per approfondire:

The gender pay gap situation in the EU

Gender pay gap in Italia e in Europa - Dati 2020

Gender pay gap in Italia e in Europa - Dati 2020

Cosa sappiamo (e cosa non sappiamo) sulla gender pay gap

A Critical Analysis of the Factors Affecting Gender Pay Gap

Analisi multivariata 

I titoli e i cognomi si usano solo per gli uomini, mentre le donne vengono sempre chiamate per nome

Affermazione:

Nell’ottobre del 2020 la deputata americana Alexandria Ocasio-Cortez scrisse su Twitter la seguente frase: «Mi chiedo se i Repubblicani si rendano conto di quanto rivelino la loro mancanza di rispetto per le donne nei dibattiti in cui continuamente si rivolgono alle elette del Congresso con i loro nomi propri o soprannomi, mentre usano i titoli e i cognomi quando si rivolgono a uomini di pari grado. Le donne lo notano. Rivela molto». Stai zitta – Michela Murgia

 

Commento:

L'autrice suggerisce una disparità nel modo in cui vengono chiamate le donne rispetto agli uomini in contesti formali. A mio avviso, è importante far notare all'autrice che l'uso dei titoli in ambito professionale sta diventando sempre meno comune.

Quanti ancora si rivolgono al collega ingegnere con l’appellativo “Ingegner Mario Rossi” ?

Ad esempio, in molti ambienti di lavoro moderni, è ormai norma rivolgersi ai colleghi per nome, indipendentemente dal loro grado o titolo. Inoltre, senza dati concreti sulle apparizioni pubbliche e sul modo in cui ci si riferisce ai personaggi di spicco, è difficile trarre conclusioni definitive.

 

Affermazione:

Nel caso in cui si riesca nel difficilissimo esercizio di pronunciare un cognome di donna, l’italiano medio deve aggiungerci tassativamente un articolo determinativo: la Boschi, la Raggi, l’Azzolina, la Clinton e la Merkel. Applicare a un cognome di donna l’articolo determinativo significa comportarsi con un nome di persona come ci si comporterebbe con un nome di cosa o con un’entità spersonalizzata, una specie di fenomeno paranormale che fa categoria a sé. Stai zitta – Michela Murgia

Commento:

Su questo lascio il riferimento alla spiegazione data dall’accademia della Crusca dal punto di vista linguistico:

L'articolo prima di un prenome e di un cognome

 

 

Le donne sono sempre ragazze. Gli uomini, anche se ragazzi, vengono chiamati scienziati

Affermazione:

Le ragazze.

Un team di ricercatrici scopre un nuovo virus? Per il quotidiano nazionale sono «le ragazze del microscopio». In una riunione aziendale un uomo cede il turno a un gruppo di colleghe che deve approfondire il tema dopo di lui? «E ora la parola alle ragazze!» Le ragazze hanno diciotto anni anche quando ne hanno quaranta, perché la ragazzitudine è uno stato mentale (degli altri) in cui sei eternamente un’apprendista, una stagista, una simpatica mascotte che ha ancora tanto da imparare, a cominciare da come si fa un buon caffè con la cremina. Stai zitta – Michela Murgia

Commento:

Qui siamo al grottesco. Basterebbe aver sentito parlare dei "Ragazzi di via Panisperna”  per capire che queste affermazioni sono ideologiche e prive di qualsiasi fondamento.

 

 

La declinazione del ruolo e delle professioni secondo il genere di appartenenza

Affermazione:

Un modo pratico di farvi sparire da un ruolo pubblico è quello di rifiutarsi di declinarlo secondo il vostro genere, sottintendendo che siete l’eccezione femminile di una norma maschile. Il rigetto della declinazione femminile ha alibi fantasiosi che studiose piú preparate di me hanno ampiamente demolito. Stai zitta – Michela Murgia

Comento:

Concordo con l'idea che i ruoli dovrebbero essere declinati in base al genere quando appropriato. Tuttavia, è fondamentale rispettare le preferenze individuali e garantire la libertà di scelta a chi potrebbe non voler aderire a questa norma. Sarebbe anche utile esplorare ulteriormente l'argomento consultando le opinioni di esperti, come quelli dell'Accademia della Crusca, per avere una visione più ampia e informata sulla questione.

Nomi di mestiere e questioni di genere

Donne al lavoro (medico, direttore, poeta): ancora sul femminile dei nomi di professione

 

Le realizzazioni professionali delle donne vengono oscurate o minimizzate a favore dei loro ruoli tradizionali

Affermazione:

«Covid, tampone salivare: ecco le quattro mamme ricercatrici che lo hanno ideato». Nel novembre del 2020 la scoperta di una procedura semplificata per testare la presenza del coronavirus nei bambini occupò per diversi giorni i titoli dei giornali italiani. La notizia non era la scoperta in sé, utile ma non rivoluzionaria, quanto il fatto che a farla fossero state quattro donne che tutti i giornali qualificarono come «mamme». Erano ricercatrici, ovviamente. Dottoresse, potremmo aggiungere senza temere di esagerare. Scienziate, a volerla dire tutta. Dai racconti dei media la loro professionalità dominante però non sembrava quella medica, quanto quella materna. L’impressione era che avessero fatto la scoperta non in quanto scienziate, ma in quanto madri. Stai zitta – Michela Murgia

Commento:

L'affermazione solleva una questione importante riguardo alla rappresentazione delle donne nei media, in particolare quando le loro realizzazioni professionali vengono oscurate o minimizzate a favore dei loro ruoli tradizionali, come quello di madre.

È però essenziale considerare questo fenomeno in un contesto più ampio. Anche gli uomini, in determinate circostanze, sono stati descritti in termini del loro ruolo familiare piuttosto che professionale. Ad esempio, ci sono stati casi in cui atleti, artisti o scienziati uomini sono stati descritti come "papà devoti" prima di menzionare le loro realizzazioni professionali.

In questo caso la mia percezione è comunque in linea con quella dell’autrice. Credo che il ruolo famigliare venga enfatizzato maggiormente quando si tratta di una donna e che questo possa portare a minimizzate le realizzazioni professionali a favore dei loro ruoli tradizionali.

Bisogna anche considerare che, in alcuni casi, potrebbe essere la stessa donna a voler celebrare il suo successo sia come professionista che come madre, vedendo entrambi i ruoli come parti fondamentali della sua identità.

Molte donne, infatti, si sentono profondamente orgogliose di riuscire a bilanciare con successo le sfide della maternità con quelle della carriera. Per loro, l'essere riconosciute sia come madri, che come professioniste, potrebbe rappresentare un riconoscimento dell'abilità di gestire con successo molteplici responsabilità.

Mentre è essenziale sfidare le rappresentazioni riduttive nei media, è altrettanto importante riconoscere e celebrare la complessità e la molteplicità dei ruoli che molte donne scelgono di assumere nella loro vita.

 

La terminologia "parentale" in contesti professionali è applicata esclusivamente delle donne

Affermazione:

Katalin Karikó, scienziata che per prima ha messo a punto i percorsi anticovid basati sulla molecola dell’Rna,è finita sui giornali come «madre del vaccino». Ogni fondatrice, inventrice o scopritrice di qualcosa di rivoluzionario ne diventa immediatamente «la madre», perché le buone idee maschili escono dalla testa, quelle femminili dall’utero. Stai zitta – Michela Murgia

Commento:

Mentre Katalin Karikó è stata etichettata come la "madre del vaccino", faccio notare che la terminologia "parentale" non è esclusiva delle donne. Infatti, nella storia della scienza e della tecnologia, molti uomini che hanno fatto scoperte o innovazioni rivoluzionarie sono stati descritti usando termini simili.

Oppenheimer definito Il padre della bomba atomica

Max Planck definito Il padre della fisica quantistica

Sigmund Freud è il padre della psicoanalisi

Si potrebbero fare mille altri esempi.

 

 

Essere obbligate a indossare il tailleur per la comunicazione politica è sintomo di una cultura maschilista

Affermazione:

L’ideale era un tailleur, perché «tutte le donne che hanno vinto un’elezione in Occidente lo hanno fatto con addosso una giacca da uomo». Thatcher. Clinton. Merkel. Non aveva torto. «Puoi scegliertelo in qualunque colore, purché pastello», perché «hai un profilo pubblico aggressivo e dobbiamo rassicurare». Stai zitta – Michela Murgia

[…]

Non ero convinta di questa lettura e infatti non misi mai un tailleur, né rinunciai al mio colore preferito. Non credo sia per questo che abbiamo perso alle urne, ma sapevo dentro di me che Luigi aveva ragione: quello che a un uomo fa vincere le elezioni, a una donna, con ogni probabilità, le farà perdere.  Stai zitta – Michela Murgia

Commento:

Qui siamo al paradosso. L’affermazione si focalizza sulle dinamiche della comunicazione politica e le mette in relazione alle aspettative di genere. Le strategie di comunicazione sono molto importanti in politica, ma è cruciale riconoscere che tali strategie non sono esclusive delle donne. Gli uomini, in vari contesti, sono anch'essi sottoposti a determinate aspettative riguardo al loro abbigliamento e comportamento.

La cosa più assurda è che proprio le femministe hanno lottato per anni al fine di avere il diritto di portare i pantaloni e, ora che li indossano, le femministe estremiste si lamentano perché sono obbligate a farlo per “strategia comunicativa”.

Anche a me non piace vestirmi in giacca e cravatta, ma se il mio datore di lavoro mi obbliga, lo devo fare.

È sessismo?

È sessismo che le donne possano portare i sandali negli uffici e gli uomini no?

È sessismo il fatto che gli uomini non possano mettersi pantaloncini corti, mentre le donne li possono in genere indossare anche in ufficio?

Le strategie comunicative e il dress code possono limitare sia uomini che donne allo stesso modo, ma sono parte più ampia di una serie di regole e codici deontologici codificati e accettati nella vita economica, sociale e professionale.

 

La modalità di leadership al femminile deve essere unicamente quella della mediazione e della dolcezza

Affermazione:

La forza, la determinazione e la capacità di sostenere un conflitto aperto sono pregi in un candidato maschile, mentre sono percepite come allarmanti, irritanti e in definitiva insopportabili se è una donna a rappresentarle. Dalle donne ci si aspetta la gentilezza e la capacità di mediazione, la grazia e la dolcezza, la decisione forse, ma non troppo evidente, altrimenti è un attimo che diventi una maestrina, una capetta, una stronza. Stai zitta – Michela Murgia

Commento:

Indipendentemente dalle nostre preferenze politiche, dobbiamo riconoscere che la recente vittoria di Giorgia Meloni è una testimonianza tangibile di come le percezioni tradizionali sulle donne in politica sia molto diverse da quello che pensa l’autrice.

Meloni, con il suo stile deciso e diretto, sfida l'archetipo femminile delineato da Michela Murgia. La sua ascesa al potere dimostra che gli elettori sono pronti ad accogliere e sostenere donne leader che non necessariamente aderiscono agli stereotipi tradizionali di gentilezza e mediazione.

Questo suggerisce che la società italiana accetta già una gamma più ampia di stili di leadership femminile. Il paradosso politico di questa vicenda è che Giorgia Meloni è andata al potere anche grazie al femminismo dei progressisti, ma gli stessi progressisti continuano ad avere problemi nel riconoscere una vera leadership al femminile all'interno dei loro sistemi di partito. Ma questa è un'altra storia.

I giovani sì che capiscono le nostre istanze femministe, mentre quelli della mia generazione vanno esclusi dal dibattito

Affermazione: Il sessismo, come il razzismo, è una cultura aggressiva: pensare che basti viverci dentro passivamente per non averci niente a che fare è un’illusione che nessuno può permettersi di coltivare. Se agli uomini della mia generazione quest’illusione pare ancora possibile, tra i maschi piú giovani è sempre piú diffusa la consapevolezza di far parte di un sistema di privilegio da cui occorre dissociarsi attivamente. Stai zitta – Michela Murgia

 

Commento:

“Se agli uomini della mia generazione” significa che tutti gli uomini della mia generazione non capisco e non capiranno mai.

Il commento mi porta ad introdurre una questione cruciale: la differenza tra trasformare una tradizione e cancellarla completamente. L'idea che le nuove generazioni siano "plasmabili" o "manipolabili", suggerisce una visione in cui le persone possono essere "riprogettate" secondo nuovi standard o regole di conformità stabilite da persone che detengono la verità. Alle nuove generazioni vorrebbero applicare un software che è in linea con le loro regole di conformità, sovrascrivendo tutto ciò che c’era in precedenza.

Questo approccio, spesso associato alla "cancel culture", può portare al rischio di annientare interamente tradizioni e storie, piuttosto che trasformarle o integrarle in nuovi contesti.

 

La tradizione, con tutte le sue imperfezioni, è un patrimonio culturale che offre una comprensione profonda delle radici di una società. Mentre alcune parti di questa tradizione potrebbero necessitare di una revisione o di una trasformazione, altre potrebbero offrire preziose lezioni e prospettive. Ignorare o cancellare completamente la tradizione equivale a perdere una parte fondamentale della nostra identità culturale.

 

L'affermazione porta anche a formulare la seguente domanda: le nuove generazioni stanno davvero diventando meno sessiste e meno violente?

 

I recenti fatti di cronaca, mostrano che la violenza di genere, compresi stupri e altre forme di aggressione, è ancora un problema grave e persistente, anche tra i più giovani. Questo solleva dubbi sulla reale efficacia delle attuali strategie antisessiste del femminismo estremista.

È essenziale riconoscere che, mentre la consapevolezza e l'educazione sono strumenti potenti nella lotta contro il sessismo, possono non essere sufficienti da soli.

La cultura, l'educazione, la legge, la cura della salute mentale, la lotta alla povertà e all’emarginazione devono essere usate in modo sinergico per creare un cambiamento significativo.

Per chi vuole avere una visone meno semplicistica degli adolescenti di oggi consiglio la lettura di L'epoca delle passioni tristi - Miguel Benasayag - Feltrinelli Editore

 

Conclusioni e riflessione finale sul libro Stai Zitta di Michela Murgia

Potrei elencare molte altre asserzioni tratte dal libro, ma ritengo sia sufficiente fermarsi qui.

L'opera, seppur presenta istanze condivisibili, è per lo più composta da una serie di sofismi e argomentazioni capziose che mostrano situazioni e atteggiamenti attraverso una prospettiva di genere, anche quando tali situazioni riguardano entrambi i generi e sono universali.

La tattica retorica predominante nel libro è quella di identificare un comportamento inappropriato e poi, in modo forzato, attribuirlo a una specifica dinamica di genere.

Con queste osservazioni, non intendo minimizzare le reali sfide legate alla discriminazione di genere, che persistono in certi ambienti culturali. Tuttavia, desidero sottolineare che Michela Murgia adotta un approccio che ritengo infantile, potenzialmente fuorviante, dogmatico e in contraddizione con i fatti reali.

Temo che una trattazione condotta in questo modo porti ad intensificare le tensioni di genere, spingendo alcune persone a reagire in modo opposto a quello auspicato. Questo atteggiamento radicale ha portato alla formazione di fazioni polarizzate, dove ciascun gruppo rifiuta di riconoscere la validità delle preoccupazioni dell'altro.

L'obbiettivo di questo femminismo estremista  appare sempre più come la volontà di riprogrammare la società secondo la propria visione del mondo, piuttosto che una sana rivendicazione di parità ed uguaglianza di diritti e di doveri.

 

Altre fonti e riferimenti:

DOCUMENTI CON TAG GENERE di ISTAT

Articolo di Npensieri.it su Una stanza tutta per sé - Virginia Woolf (1929)

Misandria - Wikipedia 

Michela Murgia - #1 Raccontarsi: Storie di fioritura

Vanity Fair e Tlon – Maschi, Bianchi eterosessuali

 

Il corpo dello stato. La carne della donna come spazio politico - Michela Murgia

 

"ODIO gli UOMINI": il manifesto del FEMMINISMO MISANDRICO? – Marco Crepaldi

"Stai zitta": il libro di Michela Murgia sul sessismo dell'italiano - Yasmina Pani

 

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