È questo quello che cerco?
L'obiettivo della ricerca
Egli era dunque pienamente consapevole del suo ricercare e cosciente della domanda che poneva a tutti i contenuti e a tutti gli aspetti del mondo: è questo che cerco?
Un giorno però vi fu una piccolissima svolta, proprio una di quelle che, essendo molto piccole, provocano grandi mutamenti. Egli cessò di chiedersi se avesse finalmente raggiunto l'obiettivo della sua ricerca e si rese conto che un qualsiasi questo non poteva mai essere altro che un nome attribuito a qualcosa che era in lui e non nel mondo esterno: e i nomi altro non sono che suoni e fumo.
La separazione tra soggetto e oggetto
In quel momento scomparve la separazione tra soggetto e oggetto, come direbbero i filosofi. Il mondo non può privarci di ciò di cui è privo, tornava a ripetersi con sua enorme meraviglia. E tornava a ripetersi anche la frase per lui singolarmente ricca di significato: Io sono più io di me stesso. Improvvisamente capì che la ricerca era stata l'unica causa del suo non trovare, che nel mondo non si può trovare, e non si può quindi avere, ciò che da sempre si è.
La pienezza eterna del presente
Per lui si avverarono così le parole dell'Apocalisse, che preannunciano la fine dei tempi: e sprofondò nella pienezza eterna del presente.
Ma visse in questa atemporalità solo per una frazione di secondo, perché, nel tentativo di
fermarla, subito ricadde nella ipersoluzione di dare un nome all'esperienza e di cercare di riprodurla...
Paul Watzlawick sulla ricerca - Di bene in peggio
Mi è piaciuto molto questo passo. Il senso è molto vicino a quello che dice Bergonzi nel suo libro "Il sorriso segreto dell'essere".
E proprio per la particolarità della citazione c'è poco da aggiungere, almeno se si vuole restare in sintonia con quello che esprime 🙂
Dare un nome all'esperienza significa essere ancora nella zona d'ombra(io-inconscio).Non era sprofondato nella pienezza del presente,dell'essere!Era caduto nell'inganno della mente!
Un abbraccio forte.